Sono tornata indietro di tanti, tantissimi anni. La mia prima visita nella redazione di un giornale, da bambina. Era festosa e io mi lasciai scappare che da grande avrei fatto la giornalista.
Me l'ha ricordato una mia amica pochi giorni fa e io le ho anche per dovere detto: perché non mi hai dato una botta in testa?
Ma le battute scompaiono subito, al dolore di queste ore.
Indietro, ancora. Mi trovavo in quella redazione ad ascoltare, imparare, poi intercettai un rumore. Era una telescrivente. I giornalisti ci mostrarono ciò che usciva: si era appena verificato un incidente aereo e arrivavano le prime reazioni dei parenti. Il foglio che mi trovai in mano, era il pianto disperato di una vedova.
Poteva essere un indizio per cambiare rotta, quella che si può, ma questa è un'altra storia.
Ciò che conta oggi è che in queste tragedie siamo sempre più informati (anche se sempre meno su molto altro) e vincendo il dolore, leggendo le storie delle vittime dell'incidente Germanwings sento ancora più forte il dolore. Insopportabile.
Vi conosco tutti. Voi ragazzi alla vostra gioiosa esperienza all'estero e fregati da un'altrettanto gioiosa lotteria, voi sposini incantati, tu mamma che stringi il bimbo, tu che hai lasciato i tuoi piccoli e conti i mesi che ti separano dall'abbracciare il quarto che arriverà. E persino tu, neonato, che il mondo l'hai appena assaggiato. Persino tu, del quale nessuno ha ancora scoperto la storia.
Le fortune, le ferite, la fine. E quello che non finisce mai, è il dolore, il viverlo, il raccontarlo, l'incontrarlo.
I share your ache, Malu.
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