Mi scatena una tempesta di interrogativi, sull'origine della fede in me, l'omelia di oggi.
La fede. Una parola che accosto a fatica, alla mia anima più testarda che determinata. Ma qualcuno deve avere provato a infondermela da piccola.
Se chiudo gli occhi e non mi ostino a imporre i miei pensieri ordinati, vedo un angioletto e prima ancora un presepino minimalista, posati nella mia vita dalle mani malate della mia nonna Argia. Quando è arrivato il momento della Comunione, lei non c'era già più e il nonno non si dava pace. Mi percuotono le sue parole, quando la riportò l'ambulanza, muta a differenza delle altre volte: ma era sempre tornata a casa!
Scuoto la testa e vado avanti con i pensieri, ma non riesco ad afferrare il filo. Devo cedere e chiedere alla mia amica dei tempi dell'asilo, con me a messa: ma che cosa ti ricordi di suor Adriana?
La mia amica era talmente furibonda all'idea di andare all'asilo, che la mamma la tenne a casa, anzi la mandò dalla nonna, dove imparò a leggere e scrivere.
Io versai tutte le lacrime del mondo, ma all'asilo fui spedita lo stesso, anno dopo anno. Piagnisteo dopo piagnisteo.
Una cosa, nonostante i tre anni, la mia amica se la ricorda bene: che ci facevano usare il punteruolo e lei lo detestava.
Improvvisamente, lo ricordo anch'io quel punteruolo, 47 anni dopo. Sento la morbidezza della "spugna" sotto e il mio percuotere titubante.
Rivedo il sorriso di suor Adriana e penso che per tanti anni rimarrà quello che mi guida, nella Chiesa. Perché devo arrivare all'università per portare il mio broncio mischiato alla mia voglia di Vivere, davanti questa volta a un sacerdote.
Il punteruolo, come la fede. Cocciuto e titubante, così impreciso da restare nella mia vita, sbagliando i punti eppure non smarrendosi, non davvero. E mentre cerco di inseguire i punti dell'esistenza e della mia missione, ancora, mi sfiora il sorriso di suor Adriana.
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