Il mio viaggio, ha preso una curva strana, rinnegata. Non so quando si concluderà, o più semplicemente cambierà meta ufficiale.
Perché tornerò alla terra, oppure al cielo. So che posso fare a meno di molte cose che rendono pesante il viaggio stesso: anzi, per la precisione, devo farne a meno, per sentire quella leggerezza di viandante.
Tutto ciò di cui posso fare a meno: maschere, finzioni, abitudini che il mondo mi ha inculcato. In realtà, qualcosa dentro avevo già, è che lo volevo ignorare.
Mi vengono dei flash da bambina. L'agnello o il capretto, non capivo perché andassero mangiati, tanto meno per la festa, che così si tingeva di tristezza.
Ma un giorno è più nitido degli altri. Perché sui cuccioli è lecito, oggi penso doveroso, porsi delle domande.
Ricordo però salendo sulla collina, con papà alla guida, che incrociammo un fagiano a una curva. Era incerto, come intontito. L'avrei potuto afferrare io, bambina.
Papà lo vide e non potendo scendere, mi disse: corri, corri a prenderlo.
Io serrai la portiera e mi rifiutai.
Quando lui mi chiese perché, io gli risposi tra le lacrime: perché poi lo mangi.
Da bambina sai sempre qualcosa in più, che poi ti sfugge.
Oggi che le rughe sono più leste della saggezza, io mi sento addosso questa leggerezza di viandante. Mi avevano chiesto di fare la custode delle creature e non lo sono stata veramente. Ma adesso io so cosa devo fare, per tornare a casa: non toccarne nessuna e sperare di trovare dentro di me un po' di clemenza per tutti coloro che respirano.
Leggerezza di viandante per una custode mancata.
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