I pinguini, li ho, li abbiamo
conosciuti 117 anni fa. Non conosco un’introduzione a queste bestiole così
capace di farmeli quasi accarezzare.
La curiosità li attirava
verso la nave… ci fissavano con gli occhi spalancati dallo stupore.
Sono parole del capitano
Robert Falcon Scott, all’arrivo in Antartide sulla Discovery. La nave che
ancora oggi si può visitare a Dundee, fiera accanto al nuovo museo V&A che
vi si è affiancato con grazia.
I pinguini erano così
fiduciosi che fecero festa ai cani, con pessimi risultati su cui sorvolo. Ma c’è un’altra
osservazione che non li riguarda e non mi fa meno male. Subito i marinai
abbatterono le foche che riposavano lì attorno. Mi procura dolore soprattutto
il motivo per cui ci riuscivano: erano fiduciose, perché non avevano alcun
predatore, alcun nemico lì.
Fino a quel momento.
Queste scene e un’altra di
cui vi parlerò, mi tornano in mente udendo la notizia di questi giorni: lo
scioglimento precoce del ghiaccio, in Antartide, che ha portato alla morte per
annegamento di migliaia di giovani pinguini imperatore. Un fatto di tre anni
fa, riportato oggi con mestizia dalla British Antarctic Survey, con conseguente
sparizione della colonia.
Penso a quelle bestiole che
spariscono, inconsapevoli, forse con un’ombra di tragico stupore. Tutto aveva
un proprio corso, le stagioni venivano accolte con fiducia. Fiducia come quella
mostrata da quelle foche.
Ma c’è l’altro episodio che
sento di dover citare, come sto facendo da oltre quindici anni nelle scuole. Da
quando, cioè, vado a parlare del capitano Scott e della sua seconda missione
mirata non solo ad esplorare l’Antartide, bensì ad arrivare al Polo Sud. Cosa
che non avvenne, perché Amundsen piantò la bandiera per primo. Ai ragazzi, come poi feci nel
mio libro, amo portare l’esempio, il coraggio, l’umanità di Scott. Che, per
inciso, si sottraeva alla vista del sangue delle foche, perché non sopportava
la crudeltà verso gli animali. http://www.nomosedizioni.it/limportanzadiesseresecondi
Ma c’è un coraggio nel
coraggio: quello di Cherry-Garrard, Wilson e Bowers, che – mentre tutti
aspettavano il momento propizio per partire con la spedizione verso il Polo –
fecero un’insolita gita nell’inverno antartico. Andarono in cerca delle uova
dei pinguini imperatore. Rischiarono ripetutamente di perire, al gelo e al
buio, sfiorando dirupi e altri pericoli. Ma ce la fecero.
Solo Cherry-Garrard (che
raccontò tutto ne “Il peggior viaggio del mondo”) poté tornare in patria,
perché Bowers e Wilson morirono con il capitano e il resto della squadra (Evans
e Oates) di ritorno dal Polo.
L’esploratore cercò di
consegnare le uova in un museo britannico (e non fu impresa facile): avevano messo in pericolo le proprie
vite non per una bravata, ma per aiutare la scienza a studiare questa specie.
Per il bene del nostro pianeta.
Quanto suonano amari questi
sacrifici oggi.
Lo stupore dei pinguini è
scomparso con loro, in quella colonia. E noi stiamo qui a scannarci spesso in
partigianerie (l’ultima di moda, pro e contro Greta).
Come se avessimo ancora
fiducia, in qualche colpo di scena del pianeta dilaniato.
In noi, è difficile averla.
Il ghiaccio si sta sciogliendo sotto i nostri piedi e chissà se basterà saper
nuotare. Intanto abbiamo già perso qualcosa di irrecuperabile, in quelle bestiole e in tante altre, di cui abbiamo tradito la fiducia.
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