domenica 28 aprile 2019

Perdere lo stupore dei pinguini

I pinguini, li ho, li abbiamo conosciuti 117 anni fa. Non conosco un’introduzione a queste bestiole così capace di farmeli quasi accarezzare.

La curiosità li attirava verso la nave… ci fissavano con gli occhi spalancati dallo stupore.

Sono parole del capitano Robert Falcon Scott, all’arrivo in Antartide sulla Discovery. La nave che ancora oggi si può visitare a Dundee, fiera accanto al nuovo museo V&A che vi si è affiancato con grazia.

I pinguini erano così fiduciosi che fecero festa ai cani, con pessimi risultati su cui sorvolo. Ma c’è un’altra osservazione che non li riguarda e non mi fa meno male. Subito i marinai abbatterono le foche che riposavano lì attorno. Mi procura dolore soprattutto il motivo per cui ci riuscivano: erano fiduciose, perché non avevano alcun predatore, alcun nemico lì.

Fino a quel momento.

Queste scene e un’altra di cui vi parlerò, mi tornano in mente udendo la notizia di questi giorni: lo scioglimento precoce del ghiaccio, in Antartide, che ha portato alla morte per annegamento di migliaia di giovani pinguini imperatore. Un fatto di tre anni fa, riportato oggi con mestizia dalla British Antarctic Survey, con conseguente sparizione della colonia.

Penso a quelle bestiole che spariscono, inconsapevoli, forse con un’ombra di tragico stupore. Tutto aveva un proprio corso, le stagioni venivano accolte con fiducia. Fiducia come quella mostrata da quelle foche.

Ma c’è l’altro episodio che sento di dover citare, come sto facendo da oltre quindici anni nelle scuole. Da quando, cioè, vado a parlare del capitano Scott e della sua seconda missione mirata non solo ad esplorare l’Antartide, bensì ad arrivare al Polo Sud. Cosa che non avvenne, perché Amundsen piantò la bandiera per primo. Ai ragazzi, come poi feci nel mio libro, amo portare l’esempio, il coraggio, l’umanità di Scott. Che, per inciso, si sottraeva alla vista del sangue delle foche, perché non sopportava la crudeltà verso gli animali. http://www.nomosedizioni.it/limportanzadiesseresecondi

Ma c’è un coraggio nel coraggio: quello di Cherry-Garrard, Wilson e Bowers, che – mentre tutti aspettavano il momento propizio per partire con la spedizione verso il Polo – fecero un’insolita gita nell’inverno antartico. Andarono in cerca delle uova dei pinguini imperatore. Rischiarono ripetutamente di perire, al gelo e al buio, sfiorando dirupi e altri pericoli. Ma ce la fecero.

Solo Cherry-Garrard (che raccontò tutto ne “Il peggior viaggio del mondo”) poté tornare in patria, perché Bowers e Wilson morirono con il capitano e il resto della squadra (Evans e Oates) di ritorno dal Polo.

L’esploratore cercò di consegnare le uova in un museo britannico (e non fu impresa facile): avevano messo in pericolo le proprie vite non per una bravata, ma per aiutare la scienza a studiare questa specie. Per il bene del nostro pianeta.

Quanto suonano amari questi sacrifici oggi.

Lo stupore dei pinguini è scomparso con loro, in quella colonia. E noi stiamo qui a scannarci spesso in partigianerie (l’ultima di moda, pro e contro Greta).

Come se avessimo ancora fiducia, in qualche colpo di scena del pianeta dilaniato.

In noi, è difficile averla. Il ghiaccio si sta sciogliendo sotto i nostri piedi e chissà se basterà saper nuotare. Intanto abbiamo già perso qualcosa di irrecuperabile, in quelle bestiole e in tante altre, di cui abbiamo tradito la fiducia.



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