Quando sono venuta alla luce, ho vissuto i primissimi anni in un palazzo raccolto e traboccante di storie, che non potevo ancora intuire.
Ma ero una bimba fortunata perché potevo contare su due cavalieri. Potrei dire fratelli, ma da figlia unica il termine è più estraneo. Come sempre, ero la più piccina (una dannazione, una benedizione) e avevo deformato i loro nomi. Tuttavia, anche loro erano in imbarazzo di fronte al mio, troppo lungo. Balbettavamo imitazioni che sapevano essere uniche: avrebbero meritato di metterci al riparo in un universo fatato.
Io mi sono trasferita per prima. Quando ero immersa in un’estate greca, soleggiata anche per i miei vent’anni, Tatanni volò via per la crudeltà e l’indifferenza degli uomini.
Tornai in città, lo seppi e l’estate già non era più.
Dopo la mia adolescenza, non mi sono più rivista con i miei piccoli cavalieri. Ma sono sempre esistiti. Anche lui che è volato via.
E ora rivedrò l’altro per salutare una persona cara, che merita un abbraccio di una donna rimasta bambina.
Farà male e sarà speciale allo stesso tempo. Perché sono stata una bambina fortunata, anche quando ho attraversato il fuoco. Con me avevo sempre anche ali d’angelo e ombre di cavalieri.
E voglio dire grazie di quella fortuna, ancora.
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