Lo vedo per le strade della mia città da un fiume di anni. Mi dicono più di venti, potrei tradurre una vita. La sua pelle fieramente d’ebano, la mia candida con non meno fiere lentiggini.
Ci chiamiamo fratello e sorella, ma forse solo stasera l’ho ascoltato. Lontano dalla sua terra, incursioni ogni tre, quattro anni. La tua casa che ti sembra forestiera via via, forse quanto quella in cui vivi.
Questa sera assume un senso ciò che non lo aveva, da qualche tempo. Io che ho viaggiato tanto, per restare placida sotto casa.
Da qualche tempo, sì, avverto il disagio quando sento inneggiare alle mie radici. Quando sento - in crescendo rossiniano - bustocca doc, lombarda doc, italiana doc. Forse persino europea.
Il disagio mi rivela la vera ragione: mica è merito mio, essere rimasta nella mia terra. Nessuno per ora mi ha cacciata, non sono stata migliore né peggiore di per sé di chi ci è arrivato dieci, venti, trent’anni fa.
Le mie radici, un orgoglio. Non un merito. E a mio fratello, che vaga per strade che non sono mie, dico Grazie stasera.
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