La voce del mio direttore di allora: la sento ancora nitida nelle orecchie, al telefono. Uno di quei telefoni massicci, oggi da museo, ma mi appariva la tecnologia del futuro in quel momento. Con l'incedere del tempo, tuttavia, la voce di Gigi Gervasutti mi è rimasta dentro per un'altra ragione.
Era stato un anno non facile, in cui mi misuravo con il mondo da poco più che ventenne, tra euforia e disillusioni. Offrendomi quel contratto alla Prealpina, dove stavo crescendo da tre anni, Gervasutti insomma mi porgeva il mondo e ringrazierò sempre lui, come Roberto Ferrario. Le meravigliose persone che ho avuto modo di conoscere in quegli anni, umanamente e professionalmente grazie a Gigi: una su tutte, Nicoletta, la mia cara Thelma, e il suo Gianluca.
Ora, baldanzosa io dico «Gigi», ma nei miei primi dieci anni di lavoro non sono mai riuscita ad applicare la regola giornalistica del tu ai miei superiori e ciò ha rafforzato affetto e stima. Adesso glielo sussurro, perché lui non c'è più.
Eppure c'è. Perché Gervasutti parlava poco, ma c'era sempre, e soprattutto quando doveva. Una volta, un politico che aveva tanto potere da non esserne sazio, gli mandò un plico con una serie di miei articoli sottolineati con diversi colori: una richiesta variopinta della mia testa. Io non vidi quella scena, ma da qualche pennellata che sfuggì, oggi me la immagino così: aperta la busta, sguardo fugace, scuotimento di testa, sbuffare rapido o forse neanche quello, busta recapitata nel cestino.
La sua voce, però, mi ha lasciato un segno più profondo in un'altra circostanza. Parlava a un incontro pubblico, Gervasutti e del nostro mestiere. Affrontava il tema con rispetto, realismo e senza mai sminuire nessuno o usando luoghi comuni. In quell'occasione raccomandò agli aspiranti giornalisti: «Date sempre un'altra lettura, un'ultima e cambiate una parola che avete scritto, più banale, generica, con un'altra». Ad esempio: avevo battuto in questo cassetto, "disse agli aspiranti giornalisti" e ho sostituito con "raccomandò".
Da allora, non posso affermare sempre, nella corsa perenne, ma spesso do un'ultima lettura a un articolo, a una frase di un libro che sto scrivendo, a qualcosa che consegno agli altri o a me stessa con questo scopo: mi serve a rimpiazzare una parola, che è troppo generica, banale.
(anche) questo mi ha consegnato Gervasutti. La prima firma e l'ultima lettura: così resterai con me.
"Mandi", Gigi.
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