La lentezza dell’estate sembra perduta, invece talvolta si ripresenta a sorpresa. Iniziando il giorno più lentamente, scruto pure il calendario.
Oggi è Sant’Alfredo. Chi conosco con questo nome? L’Alfred, il mio amico varesino che per anni mi ha rischiarato il pensiero, entrando puntuale in redazione e offendimi il suo sorriso. Sento ancora il tintinnio dell’ascensore che a quell’ora annunciava lui. Non importa se ora riusciamo a vederci così poco: il reciproco pensiero ci fa sorridere.
E poi mi illumino ancora: l’Alfredo. Solo un ritratto sfuocato di quand’ero bambina, l’autista del nonno! Chiaro che mio nonno operaio non avesse alcun autista, ma invecchiando venire a Busto in bici era impossibile e qualche volta entrava in azione questo signore che non so cosa facesse. Forse aveva un’officina e talvolta dava un passaggio al nonno: su quell’auto sono salita anch’io un più di un’occasione.
Una è stampata bruciante in me. L’Alfredo e il nonno sono venuti a prendermi da qualche parte, credo che ci sia anche mamma. Sono le parole che restano dentro di me: “Hanno rapito Moro, ucciso gli agenti”. Quel giorno si incupì il mio universo di bambina e io mi aggrappai agli occhi addolorati ma saggi del nonno.
Chiamami Alfredo, dimmi che non finì così, che non finirà affatto. Intanto saliamo sulla tua auto, cos’è quello, un gagliardetto... ah già tu sei milanista. Un altro giro, Alfredo.
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