Mi perdo a scrivere dappertutto e ancor più mi ritrovo, perché spesso ho bisogno di un luogo solo per me. Anche il più insospettabile, anche il più frenetico, afferra un velo di pace e mi lascia pensare.
Uno dei miei preferiti è lo stadio, dopo la partita. La gente che si allontana, a volte anche prima di fronte a un risultato sfavorevole, il che per me rappresenta un indovinello insoluto. Non mi attardo tuttavia a rifletterci, perché devo lasciar uscire le parole: talvolta danzano, spesso sono goffe finché non le richiamo all'ordine o loro lo fanno con me.
Non di rado accade che io mi fermi: ancora, ancora. Qualche remora e controllo l'ultimo collega, anche lontano presente, ma sono rimasta frequentemente da sola. Sul campo qualche giocatore a temprarsi, ancora, poi se va, e non c'è più traccia di volti e pensieri; solo, immagino la presenza del custode nella sua casa.
Resto perché mi piace veder scendere il tramonto, le nuvole che stentano ad accettarlo. Resto perché è uno spazio per tutti, eppure solo per me. E resto perché in questa pace io scrivo le ultime righe, quindi mi dirigo verso casa. Così, quando arrivo dalla mia famiglia, non ho più parole che urlano dentro e accolgo festosa ogni rumore.
Ho già avuto uno spazio per me, insospettabile. Luoghi che si svuotano, come la mia mente.
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