Diventata adulta, matura e responsabile, sono stata colta da una consuetudine. Se intercetto un film sconosciuto alla tv e qualche incertezza di troppo già si profila all'inizio, consulto rapidamente internet: non clicco drasticamente sul telecomando, solo se la rete mi tranquillizza sul lieto fine.
Ma questo, non è un film. Adesso mi chiedo in questo spaccato di storia, come possa io illudermi che tutto non sprofonderà. Non c'è bisogno nemmeno di sbirciare nel futuro, se anche si potesse: è il passato che sbatte in faccia il rincorrersi dei medesimi errori e il presente che vi si aggrappa quasi li trovasse rassicuranti.
Consultando il finale nella coscienza: i più fragili, delusi e derisi, depredati della loro vita e della dignità. Si chiama Afghanistan ma assume altri nomi e al contempo ne ha uno solo e paradossale: si chiama umanità.
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