Forse non sarà l'ultima volta che saluto Expo, in una sera dove il buio è spezzato da un'ammiccante luna. Ma così sento, nel fiume in cui mi trovo travolta.
Non mi lamento. Scema io a non goderlo quando si poteva. Sempre di corsa, e raramente dedita a me stessa e ai miei cari, se non in rare occasioni: roba da scriverci un trattato di vita, subito.
Ma non posso: devo riflettere sulle sensazioni di questa sera. Ho seguito un dibattito interessante, ho provato a trasmetterne lo spirito. Ho vagato di stanza in stanza per scrivere, perché gli uffici via via chiudevano. Dentro, la pace di chi si sta accorgendo dell'epilogo. Fuori, un formicaio di chiassose sensazioni.
La coda si è sciolta, a Palazzo Italia, e forse tutto attorno. Devo sentire ancora delle persone, un amico mi rincuora sui dolori della giornata, un altro mi accende una speranza di vederlo domani, dopo lungo tempo.
Il torrente avido della gente mi mette a disagio, come sempre, ma attribuisco la colpa solo a me stessa. Anche quando aspettiamo la navetta, accatastati, e anche sul bus stesso. Anche quando il bimbo in braccio al papà urla: guarda, l'albero della vita.
potremmo vedere lo spettacolo qui, dice il papà, dall'autostrada.
Io, dall'autostrada, vorrei solo scappare, per tornare a casa. Magari anche da Expo. Oppure a Expo vorrei tornare, per sempre.
Notte e lo strano saluto di Expo.