Ho una giornata intensa e fortunata, alle spalle. Una in cui ritrovarsi, in diversi modi, e uno ancora più intenso degli altri.
E' la mostra dedicata a monsignor Giovanni Galimberti, un abbraccio all'arrivo della patronale. Mi faccio correggere dallo stesso titolo ideato nella Biblioteca capitolare e dalla voce di Franco Bertolli, che accoglie con l'entusiasmo consueto di chi ama la ricerca e l'umanità.
A Busto Arsizio con il prevosto Giovanni Galimberti 1942-1966
Sì, perché da una parte incontro questa figura straordinaria, grazie alle foto, ai documenti, a quelle grafie troppo accurate ed eleganti per essere nostre, a quegli articoli conservati con cura, ai manifesti e altri preziosi tasselli. A cui devo aggiungere un'ulteriore voce: quella della nipote Serafina, che osserva e racconta, aggiunge emozione come al ricordo delle vittime della sciagura aerea ad Olgiate, con la basilica che si spalanca al dolore. Serafina, la conosco da una vita: anzi, è una delle prime persone che ho visto nella mia esistenza, dopo la mia famiglia, condividendo con lei e i suoi cari i primi passi incerti della mia infanzia.
Ma incontro anche la mia città. Quella segnata dalla guerra, quella che si sta offrendo ogni giorno per liberare dall'oppressione e dall'odio, quella che rinasce con uno slancio raro, quella che sa fermarsi per una preghiera o per aiutare gli altri.
Due momenti scopro, e mi commuovono particolarmente, tornando alla persone. Monsignor Galimberti che piange alla morte di don Carlo Gnocchi, a lui caro. E che dialoga con il socialistissimo pà Carloeu, preoccupato del Bene con fede laica.
Quando sto per uscire, ripromettendomi di tornare con una lettura più accurata del libretto, mi fermo a un richiamo. Quello scritto a fine 1949 perché i cittadini, ciascuno nelle proprie possibilità, aiutassero a riparare la basilica ferita dal tempo.
Rileggo le prime righe:
"Ogni generazione ha i suoi compiti ed il primo consiste nel conservare intatto il patrimonio creato dallo sforzo e dal sacrificio delle generazioni precedenti".
Uscita, preferisco non guardarmi attorno per non incorrere in una sfuriata della coscienza. Ma in qualche modo, so cosa devo fare.
E so cosa spero: che in questo luogo meraviglioso, dove ho scoperto tanto delle mie radici e del mondo in questi anni, entrino tante persone a conoscere Giovanni Galimberti e la città.