Quando vidi morire d'inedia le palme nella piazza principale della mia città, confesso che piansi. Una pianta che ho sempre amato, fino a sognarla nei luoghi più cari ed estremi.
E non è per questa devozione antica.
Non è perché mi avevano spiegato, in tempi non sospetti, le origini del progetto di piazza Duomo.
Non è nemmeno perché nelle ore in cui la protesta sembrava fiorire via social, io mi gustavo la palma bronzea nella cripta di San Sepolcro: realizzata giusto qualche secolo fa, quindi in una furia di modernità, immagino.
No, il motivo per cui mi stupisco e mi rammarico di fronte ai fiumi di veleno riversati su piazza Duomo a Milano, è un altro.
E' che vedo che siamo tutti capaci di indignarci di fronte alle poche cose che vediamo fatte.
Ma di fronte al vuoto che scolpiscono ogni giorno nel nostro Paese, alle mancanze di azioni e risposte di amministrazioni lontane e vicine, stiamo zitti e sopportiamo.
Il ramo più spoglio è il nostro tollerare l'intollerabile,. E prendercela con ciò che nel bene o nel male fiorisce.
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