mercoledì 27 febbraio 2019

La paura che fiorisce

Ho visto persone in maglietta, io mi tenevo il giubbotto e avevo i brividi. Maledetta tosse, mi son detta.

Poi un amico mi ha sussurrato: hai visto, Marilena, che caldo, che primavera esplosiva? Io comincio ad avere paura.

Così, camminando lungo la via, ho osservato. C'era un prato, di quelli dall'erba che sembrava tenera nel suo verde, e ora già si stava ingiallendo. Il sole scavava pensieri sulla pelle.

E il colpo di grazia: gli occhi della Madonna, questo fiore che mi annunciava con letizia la primavera. Ora, fine febbraio, mi incute timore.

Prima fioriva la primavera, a tempo debito. Ora fiorisce la paura.

Non so cosa stiamo distruggendo, fino in fondo. Vedo che ci stiamo riuscendo.

All bad things must come to an end

C’e chi crede che le cose belle prima o poi finiscano. Io la vedo come i Motley Crue nel
Tour finale: tutte le cose cattive devono finire. Anche se non erano cattive davvero.

La loro ironia si colora di serietà per me. Magari ti sei divertito. Magari ci avevi sperato. Ma dentro di te sapevi perfettamente che la tua strada era altrove.

E cantando l’ultimo brano, ridi senza che vinca la nostalgia.

Perché qualcosa di buono sta nascendo.
 Perché c'è sempre modo di ricominciare.
All bad things must come to an end.

martedì 26 febbraio 2019

Avessi capito l’effetto serra

Il mondo, lo ribalterei volentieri. Quasi quanto me stessa, e forse lo farò.

Oggi al convegno sull'economia circolare di Rilegno e Federlegno, quello che stiamo facendo al mondo mi è stato chiarito dal fisico Valerio Rossi Albertini.

Sapete spiegarmi l'effetto serra?

Certo che sì. Allora avanti, in pochi istanti. Non riesco. Mi torna in mente Gadamer illustrato  da un professore all'Università: se capisco qualcosa, lo so spiegare. Altrimenti non ci riesco.

La più classica delle giustificazioni di uno studente naufragata in un lampo: prof, la so, ma non riesco a spiegarla.

Poi Albertini estrae un'automobilina. Una berlina, quindi una decappottabile. E io so ciò che devo capire.

Che questo pianeta, o lo salvo ora o mai più. Io, non Trump o qualche altro potente che va di moda nominare.

Avessi capito l'effetto serra prima, forse avrei salvato il mondo.

lunedì 25 febbraio 2019

Non è più tempo di autostop (ciao Mark)

L'ho incastonata nella mia top 30 di cinquantenne, Such a shame. E adesso venite a portarmela via, sussurrando che è morto Mark Hollis.

Io, che la vergogna l'ho sentita addosso davvero, facendo il mio unico autostop della vita, a sedici anni in vacanza. A bordo. Quelle note ci hanno percosso, impertinenti.

http://neicassettidimalu.blogspot.com/2013/02/such-shame-canzone-per-notte-e-giorno.html?m=0

E ci ho riso, riso tanto, senza imparare la lezione più vera: la vergogna si seppellisce con un brivido travestito da risata e notte libera.

Una vergogna, non averlo imparato.

Ma non è una vergogna piangere perché un ragazzo con il cappello tirato indietro, contro il buio, non c'è più.

Il buio di una notte greca, per me, che si colorava di stelle, nel momento più bello della vita, i miei sedici anni.

Non farò più autostop, non è più tempo. Eppure il mondo lo scuoterò ancora con una risata.

domenica 24 febbraio 2019

Retrogusto (o retrobusto)

Contro il cielo delle mie corti, sgranocchiate dal passato, vedo una bandiera.

È solo calcio, mi dicono ed è vero. Ma sapessero quanto ci vibra dentro.

È solo calcio, dicevi tu che non ti sei mai appassionato o così fingevi, papà. Finché mi sono appassionata io. Allora, è diventato importante per te, anche quando non lo era affatto.

E il primo pianto di gioia, dopo che te n'eri andato, arrivò proprio così. Per una partita, che non avrebbe cambiato nulla, ma che ha reso tutto più sopportabile con le sue emozioni che rasentavano la follia.

Oggi mi importa, ma non mi importa dove siamo. Le celebrazioni. Le auto celebrazioni. Le magliette e i loro prezzi.

So bene a chi devo questa energia di cento anni della mia squadra, la Pro Patria, a chi ha condiviso con me ogni passo e molti di più. A chi c'era quando altri si ritraevano o neanche si sognavano.

Il retrogusto (retrobusto, tento di scherzare evocando il nome della mia città) di una giornata di festa è la malinconia, perché tu non sei qui. Te ne sei andato quando avevamo novant'anni e forse questo traguardo ci appariva impossibile.

Ma il cielo sopra le mie corti, sgranocchiate dal tempo, è stupendo. Come i colori della nostra maglia, di una bandiera che sa di speranza e malinconia insieme. Quella della mia gente, che non sarà chiamata su un palco, perché già cammina su quello della vita.

venerdì 22 febbraio 2019

Perfettamente in silenzio

Mi sono rammaricata di non saper disegnare, di non sapere scolpire un oggetto perfetto e neanche di concepirlo.

Eppure io so restare in silenzio a contemplare ciò che mi viene offerto.

Perfettamente in silenzio, nel vociare attorno, mentre tu mi riversi addosso tracce della meraviglia che sai destare.



giovedì 21 febbraio 2019

All'improvviso, tante vite

La vita ti aspetta a un crocevia e si sfila la maschera, forse per mostrarne altre.

Incontri o ritrovi persone, che ti spostano nel tempo. Eppure è la tua vita, tutta, scolpita in ogni azione, in ogni evento, in luoghi attraversati o sfiorati. Persino prima di te, una tua ava che ha tracciato la linea dei suoi passi e anche un po' dei tuoi.

All'improvviso, tante vite. Non ti erano mai parse così numerose. Marilena, Mari, Malu, Marilu, Lu, e persino questo pegno del tuo ceppo: Lualdi Lessi.

All'improvviso, Una sola: perché dentro di essa confluiscono con una bizzarra armonia.

All'improvviso, solo io. E una tenace gratitudine di esserci.

martedì 19 febbraio 2019

Un punto fisso, di libertà

Fissazione o punto fisso.

Cosa sarà mai questa superluna. La strada si imbiondisce, senza mostrare di chinarsi ad alcuna moda.

Non è quel punto fisso in cielo, per quanto meraviglioso, che mi strega, bensì il fatto che io possa camminare sicura nella notte.

Libera eppure legata a un piccolo miracolo nel cielo.

Un punto fisso, di libertà. Un riflesso che rende luminosa la vita. E io che forse posso sfiorarti con le dita, fin lassù.

lunedì 18 febbraio 2019

Fame di vita

È un giorno caldo, troppo caldo persino per chi tossisce come me. Eppure passando davanti a una panchina sento un brivido per chi non ci trascorrerà pochi minuti.

È un uomo con capelli e barba lunghi, poche cose radunate attorno a lui. Ma tra le mani stringe un piatto di plastica: dentro, pasta al sugo che mangia con l'avidità di chi vuol vivere, non accumulare.

E vorrei frenare, chiedergli cos'altro gli serve.

Ma vigliacca sono, sotto questa giornata falsamente calda.

Forse dovrei ascoltarlo e almeno imparare qualcosa. Invece, imparo solo così: con uno sguardo veloce sulla sua fame di vita, grata a chi l'ha ascoltato davvero, fermandosi accanto a lui.

domenica 17 febbraio 2019

Bastava un Telegattone, un testo ritagliato

Chiedo scusa immediatamente a Franco Rosi per non aver messo in evidenza il suo nome nel titolo. Un personaggio così profondamente artista, troppo forse per una televisione che ha perso poi via via lo smalto e il significato ai miei occhi.

La sua scomparsa, accostata alla voce del mitico Telegattone, mi ha portato lontano  e dentro di me. Perché quando balenavano le note di quella sigla, io avevo già avuto giorni fantastici nonostante le tribolazioni da bambina.

Giorni in cui sfogliavo Tv Sorrisi e Canzoni, coglievo flash dei miei miti e avevo già azionato la forbice.

Quella per cui ritagliare i testi delle mie canzoni, a volte anche un po' mielose prima della mia conversione rock. Parole che usavo come una formula magica, per proteggermi da un mondo stranissimo, non sapevo ancora quanto ostile.

Alcune di quelle canzoni, non le sento più da decenni. Eppure, se una radio le trasmettesse adesso, io saprei ripeterle verso per verso. Anche adesso che il rock mi ha forgiato l'anima o così mi illudo.

Allora bastava questo. Che sentissi da lontano la sigla del Telegattone e che le mie dita afferrassero l'album con i testi, per diventare invincibile. Forse invisibile, e libera.

Così oggi mi sono sentita un po' più  sola. Non so più dove io abbia riposto quei testi e raramente ho un buon motivo, per accendere la tv.

Ma non riesco a sentirmi triste, perché penso che c'era una volta un Telegattone e forse verrà ancora a farmi sorridere, pensando di avere gli occhi più blu di Paul Newman.


venerdì 15 febbraio 2019

Accogliere la gentilezza

Prima che io studi come aprire i sacchetti, il ragazzo me li ha già riempiti con la mia spesa. Sto ancora pagando, quando la signora accanto a lui mi chiede: dov'è la sua macchina?

Io le rispondo: qua fuori. Lei afferra le borse, decisa, e si dirige verso la porta, ma io cerco di fermarla: non è il caso e poi guardi che fuori fa freddo.

Ride: non fa freddo.

Io sto per correrle dietro, come già mi è accaduto di fare, con lei o con i ragazzi dentro. Cinesi. Lo scrivo perché la cronaca lo chiede, borbotto dentro di me, ma vorrei cancellarlo.

Anche perché non sto nemmeno parlando di loro, in questo blog, bensì di me. Di come io sia in difficoltà ad accogliere la gentilezza, difatti travesto questa mia testardaggine di mille scuse.

Non è il caso, certo.

E poi per impacchettare, pure mettermi i fiocchetti sul sacchetto, va via altro tempo. Anzi, anche nel ritirare i sacchetti in auto, perché correrei più veloce, li sbatterei su e sarei già in viaggio.

I pensieri vengono placati dalla tosse e il ragazzo, mentre ancora sulla soglia, commenta: eh sì, con questa stagione tutte le persone sono malate. 

Io mi giro di scatto, sentendo quell'innocua parola: persone. E lo sguardo si posa su una parte del negozio che nel loro perenne movimento hanno cambiato ancora. 

- Non state fermi mai.

Lui commenta con un sorriso, prima: è per fare vedere che questo è un posto grande.

Chissà perché posto grande mi fa venire in mente spina bianca. Anzi, spina bianca bianca come la chiamava il mio bimbo. E così mi sembra questo ragazzo, un bimbo. Un bimbo gentile.

Io gli sorrido e corro dietro alla signora, chissà se sua madre. Devo andare ad accogliere la gentilezza, se ne sono capace. E accogliere la gentilezza richiede tempo e capacità di fermarsi, come lo stesso essere gentili.

lunedì 11 febbraio 2019

Metti che io voglia dire grazie (Lourdes)

Questa sera mi risveglio da un torpore a cui già due amici stavano cercando ignari di sottrarmi. Attraverso la scrittura, loro, che se non salverà il mondo, farà bene a te e magari potrà perfino aiutar qualcuno.

Questa sera mi ritrovo a Lourdes, grazie a un film. Ventun anni e mezzo dopo. Momenti unici. Di cui avevo già parlato in un cassetto.
http://neicassettidimalu.blogspot.com/2017/10/ah-sei-qua-lourdes.html
Ma stasera c’è qualcosa in più, o di diverso.

Stasera in un film scorrono i miracoli; io penso a quando mio padre mi definì così, il suo miracolo. E poi avverto il bisogno irresistibile di tirar fuori da un angolo più oscuro un’icona e metterla dove il mio sguardo può posarsi. Ogni giorno.

A dire grazie, anche se il miracolo per cui credevo di dover ringraziare a Lourdes quasi 22 anni fa, è andato apparentemente in frantumi, perché il mio corpo alla fine ha dovuto fare un passo indietro. E due, la mia anima.

Ma il miracolo vero è questo: che ho voglia di dirLe grazie. Avrei persino voglia di dirlo là, in un’alba fredda e luminosa di Lourdes.

Metti che io voglia dire grazie. E lo dico, grazie a Te, Maria.

domenica 10 febbraio 2019

Brava perché

Ho pochi metri di autonomia in questi giorni, un minuto d'aria richiede l'energia di un'ora: sarà per questo motivo, che faccio incontri speciali, perché le ricompense accadono quando meno te l'aspetti.

Esco per la cucciola e quando compio rapida retromarcia, incontro una signora anziana ed elegante che mi fissa ed esclama: brava.

Disorientata, mi interrogo silenziosamente sul fatto che io possa conoscerla.  E poi, anche se fosse, brava perché. Per un articolo non credo: oggi è più facile sentire un vaffa che un brava. Avessi compiuto anche qualche meraviglia in passato, non capisco ugualmente.

-Le ho visto buttare il sacchetto con il bisognino del suo cane.

Ah. Ripenso, con un vago retrogusto di tristezza, a un signore poco educato che una sera alla cieca mi ha insultata perché non avevo raccolto il bisogno del cane sull'erba: gli feci notare che raccogliere la pipì mi risultava un tantino difficile. Ma tanto neanche mi ascoltò: le sue sentenze, le aveva già sputate.

Questa signora ascolta e merita una risposta grata.

- Ma questo non è "brava". Questo è normale!

. Purtroppo non tutti fanno come lei

- Purtroppo signora, se guarda il verde del viale, lo vede pieno di ben altro… bottiglie, plastica, mozziconi.

-Ai miei tempi eravamo educati.

Mi arrendo, lo so anch'io, anche se non c'ero. Però la ascolto, perché è una signora elegante nella sua semplicità: "E poi sa cosa, eravamo sempre in ordine, si usciva pettinati, a posto".

Io penso che questa mattina ero così a pezzi che non mi sono neanche guardata allo specchio. E che lei ha ragione. Così riporto la cucciola e impiego gli ultimi istanti di energia per andare dietro l'angolo in farmacia a fare i rifornimenti.

Ma prima un velo di cipria, un  filo di matita sugli occhi, un colpo di spazzola. Perché bisogna uscire in ordine.

venerdì 8 febbraio 2019

Farsi tenerezza

Accantonati i giorni in cui spaccherei il mondo e lo rimetterei arrogantemente a posto, mi godo quelli in cui sono fragile. Quelli in cui il corpo ti dice: eh no, scusa, non posso seguirti.

Te l'aveva sussurrato già, ma tu eri sorda. Allora, ti incavoli giusto una manciata di secondi, perché lentamente si fa strada come un senso di dolce resa.

Tutte le cose che dovevi fare, cadono magicamente, senza fare rumore. E ti rimane solo una sensazione di tenerezza nei tuoi confronti.

Ti guardi dentro, stupita, di quanto tu sia bella quando non riesci a fare qualcosa, se non la cosa più importante: vederti.

Farsi tenerezza, il giorno e la sera che si confondono al tuo sorriso.

martedì 5 febbraio 2019

Avessi paura di Tim Curry

Avessi paura di Tim Curry. Avessi paura di It.

Non ho paura di questo pronome senza volto. Di un neutro vagare.

È l'umanità che mi spaventa. Quando spara a caso o con precisione: spesso, entrambe le cose insieme.


lunedì 4 febbraio 2019

San Biagio e chi entra nelle tessiture

Penso a quei giorni di primavera mancata che bolliamo come freddissimi. Ci penso con più brividi quando rileggo le note precise del maestro Ginetto Grilli.

Di tutte le sue sagge annotazioni, che derivano da libri e racconti che sembrano scolpiti nella pelle, una resta al mio fianco: anch'essa un po' stupita.

Rivedo il parroco che dopo vent'anni troppo distratti non posso ritenere ancora del 'mio' paese mentre a San Biagio celebra i sacramentali.

Alle 530 per chi entrava nelle tessiture alle 6.

E sento i telai che si lasciano domare dalla voce delle preghiere. E rivedo frammenti della mia vita, della mia famiglia scivolare al loro posto.

domenica 3 febbraio 2019

Messaggi, di sfuggita

Se posso dare colpa al vento, una volta tanto per non prendermela volentieri sulle spalle, forse i messaggi hanno tentato di volare via.

Ma poi arrivano dritti a me, all'anima confusa da tanta abbondanza tutta insieme. Messaggi, di sfuggita, che mi inondano di suoni e colori. Messaggi gettati come alla rinfusa, addosso a me, che stavo camminando in apparenza sulla mia strada.

E quando mi hanno stordita, traboccanti di indizi, i messaggi riprendono la loro via. Così lontano da farsi ammirare, come stelle orgogliose e in apparenza inutili.

Invece, brandelli di messaggi restano nel tepore dei miei pensieri e più di quelle stelle mi guidano verso la mia meta. Sono in viaggio, ancora, e tu mi sorridi.

venerdì 1 febbraio 2019

Quello che si è sempre usato (come la neve)

Mia madre mi porge una perla lucida come un fiocco: la neve, si è sempre usata.

E allora, tutto questo sconcerto, questo disorientamento, perché.

Si è sempre usata, la neve.

Come tutto ciò che la macchia, impronta dell'umanità.