Sulla pelle porto il disagio che incontro per strada, quello di mondi che non si sanno incontrare. Salgo sul treno che non è un'isola felice.
Un signore indiano mi chiede se Milano centrale sia la prossima, io lo rassicuro: deve aspettare ancora. Lui mi risponde con un sorriso rapido e io vago altrove con lo sguardo.
Una donna velata (da donna, non lo dico compiaciuta) con una figlioletta di sette, otto anni, si siede a fianco; in braccio ha una bimba di poche settimane, ne vedo solo la nuca.
Poi, nel mio girovagare a caccia di scorci meno solitari, scorgo il suo volto e gli occhi che mi fissano curiosi. Le rivolgo un sorriso un po' buffo e lei si scioglie in una risatella silenziosa, prima di nascondere il viso sulla spalla della mamma. Pochi secondi dopo, però, mi guarda ancora e alla mia smorfia ride, ride di nuovo felice.
Sarebbe già bello così. Ma poi mi accorgo che il visitatore dall'India sta ridendo senza rumore, e una fanciulla italiana in attesa di scendere non è meno allegra.
Il piccolo sorriso e un mondo grande: il mio minuscolo cuore trova ristoro.
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