Si scrive Harry Potter, si legge Flintstones. Di vent'anni fa ricordo un aspetto che mi fa sentire l'età della pietra nelle mie ossa, non solo per come mi muovo.
Sta uscendo il libro di Harry Potter, mi intriga, lo voglio conoscere. Per averlo in inglese, dovrei attendere mesi, invece la mia amica dall'Inghilterra non me lo fa sospirare. Quando arriva, lo divoro, sospirando su incantesimi e arte linguistica, rintracciandovi persino indizi di filosofia.
Eccezione, all'ultima puntata. Sono così scossa dal fatto che sia quella conclusiva (e fiuto che finirà male il mio eroe) che stringo un patto con me stessa: non lo sbranerò come al solito in pochi giorni, ma mi costringerò a leggere un solo capitolo quotidiano. Ok, qualche volta sono due, ma devo dire che mi rivelo piuttosto osservante.
L'anno scorso fiuto un libro che non è proprio la continuazione, ma almeno placa l'appetito. Lo trovo agevolmente già in inglese, in libreria. Lo appoggio un attimo, senza neanche aprirlo: al momento giusto lo gusterò e già lì dovrei insospettirmi.
Invece, me ne dimentico. Addio trepidazione. Fino a stasera, quando lo apro e scopro che è una sorta di sceneggiatura. Non mi sento nemmeno delusa. Forse perché io, per Harry Potter, non c'ero già più.
Non so se sia invecchiato Harry Potter. Io, immagino, un pochino.
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