Ci sono giorni un po' più complicati, che ti scaraventano addosso raggi di sole e scrosci di tempesta, senza che tu possa capire da cosa ripararti.
Giorni in cui senti le emozioni di tanti addosso a te, perché ce le hai dentro da prima ancora.
Io oggi vedo mio nonno, quando gli dicono che la sua azienda chiuderà. Lui ha i bambini piccoli, sua moglie fragile anche se non ancora apertamente malata: lei lavora tuttora, con fierezza. Lui prende le sue cose, dalla sua valle e decide che deve fare come gli altri: andare in città, dove tutti trovano lavoro.
Quando sei un contadino, prima che un operaio, è dura spingerti via dalla campagna, dalla sua consolazione anche solo temporanea. Ti infili in un palazzo che pur è una reggia rispetto al tuo cortile; ti fai docilmente portare in tintoria, a bere latte per contrastare tutto ciò che respiri. Ce la fai, perché hai i bambini piccoli. Perché sopra di te, hai persone che di te si prendono cura.
Ce la fai, ma raccomandi a tua moglie, prima che si ammali, si ammali troppo per poter lavorare se non seduta davanti a una macchina da cucire: donna, non restiamo nella stessa ditta, è troppo pericoloso. Se perdiamo il lavoro, che cosa facciamo. Se perdiamo il lavoro, non sarà più Natale.
Chissà come ce la fai, nonno, a stare chiuso dentro tra quattro mura, a bere latte, a poter respirare solo di tanto in tanto l'orto che ti sei faticosamente ricavato per ricordare un poco la tua valle, anche nella grande città. Conti i giorni, e anche i centesimi, per poter tornare a casa: fabbricarti una piccola dimora e fare il contadino, prima che l'operaio.
Cercando un lavoro, o forse il Natale: oltre alle buste paga, la tua luce viene dai gesti di riconoscenza del Tognella, il tuo titolare.
E in tutto questo cercare, mi raccontano proprio oggi, solo oggi di quando mio padre portava i clienti dell'azienda in cui lavorava, a pranzo in una trattoria. Ogni tanto vedeva il cavalier Tognella, sì, che era lì a mangiare.
A mangiare una minestra.
Cercando un lavoro (o forse il Natale).
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