Riesplorando la vita e l'impegno di Bocca, mi sono venuti in mente tutti i maestri: quelli che mi hanno guidato giorno dopo giorno, quelli che ho incontrato per caso. Molti di loro non ci sono più. Dalla memoria è affiorato anche un incontro straordinario, anche per come era accaduto: quello con Indro Montanelli, ricoverato nell'ospedale della città dove lavoravo per un intervento all'occhio. Ci mandò - il mio impagabile maestro Antonio Porro - con l'ordine perentorio: tornare con un'intervista. Il fotografo (con il quale ho ancora la fortuna di lavorare!) e io naturalmente fummo cacciati dal reparto. Siccome con Porro c'era poco da rientrare a mani vuote, escogitammo vari modi per perforare quella barriera.
So che sembriamo sciacalli: da una parte lo pensavo e lo penso sempre di più invecchiando. Ma era il nostro lavoro e credo che l'importante sia cercare di farlo con rispetto, fermandosi a un no della persona ed evitando domande idiote. Noi in fondo lo sapevamo: Indro non aveva pronunciato quel no, bisognava tentare. Non appaia come un alibi. Difatti, eravamo lì a studiare un pronto rientro, quando apparve un medico: il direttore ha detto di farvi entrare. Aveva saputo, Montanelli, che c'erano una giornalista e un fotografo e disse: scherziamo, è il loro lavoro, fateli entrare, io sto bene.
Aveva una benda all'occhio e l'unico niet fu per la foto, un dolce peccato di vanità che costò una reprimenda al povero Dani. Ma non solo ci parlò per l'intervista: ci trattenne, volle sapere di noi, ci diede consigli.
Così era un Maestro. Come Bocca. Gente che voleva stare con la gente, per capirla e scrivere.
Oggi troppi provengono da Fighettilandia, e l'unico ambiente che frequentano sono le stanze dei bottoni. Mentre - come diceva il mio maestro Mino Durand - è meglio ascoltare il più umile: difatti, tutti comprendevano e apprezzavano i suoi editoriali.
E fosse l'unico problema, quello di apparire maestri perché si frequentano i potenti, perché si fa i fighetti, o perché si hanno i numeri di telefono dei vip da sventolare davanti ai superiori o a chi ci casca. Ora tutti si mettono a fare i maestri, a ogni età, forti solo di cellulari e mail.
Che sono il presente e il futuro, certo. Ma quando cammino tra la gente e ne contemplo i volti, quando mi fermo a un bar, parlo con una persona che la vita se la suda, io sono più felice. E penso ai miei maestri, a ciò che lasciano in barba a Fighettilandia che prima o poi si autodistruggerà,
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