Da anni non ci mettevo piede, fuggendo più spesso verso vari impegni o verso il bagliore del Duomo e delle meraviglie attorno. Ma lo stupore si può trovare veramente, se si torna a Brera.
Ha ragione un mio amico, da Milano si può stare lontano tranquillamente, se si abita in Insubria. Siamo incredibilmente autarchici. Anzi, giova starle lontano, diradare le visite... a patto di tornarci ed essere pronti ad accogliere lo stupore.
Di solito, ci si meraviglia per ciò che cambia. Ieri contemplavo Brera con la gioia di vederla così simile a se stessa, pur accogliendo il presente. Per un istante, mi è parso di cogliere flash di artisti che si incamminavano seri con le loro tele, forse persino lo zio Angelo, che sarebbe diventato un grande pittore e già lo sapeva, con la sua grinta preveggente. Mischiava nella mente colori e i sentimenti per la nostra Antonietta, capolavoro del Signore tra i capolavori che lui avrebbe tracciato.
Realisticamente, oggi loro a trovarsi lì quegli artisti potrebbero sobbalzare. Ma a me sembra tutto così piacevolmente rimasto ancorato alla propria identità. Certi negozi, tenaci e gloriosi nella loro miniatura, mi pare di vederli solo lì. E come una turista svampita, ho scattato la fotografia al ristorante cantato da un libro che l'anno scorso un amico aveva avuto l'accortezza di donarmi.
Respiravo l'umanità. Vero che con il mio topo e la mia amica, tutto è magico. Tuttavia, Brera lo è di suo. E via verso lo storico panificio che è diventato modernissimo, dentro, ma sfoggia il suo volto profumato e severo fuori. Guardando con tenerezza le turiste russe che si regalano foto davanti alla vetrina luccicante di torte, i loro cappelli di pelliccia biglietto da visita in una calorosa città.
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