Non si può, perché questo confine, oggi posato quasi dolcemente, mi fa viaggiare dentro le ferite che ci hanno condotto fino a qui. Lo percepivo nei discorsi degli uomini e donne che ho incontrato, perché tutti sono stati toccati dai conflitti dilanianti e più silenziosi.
Date e luoghi memorizzati a scuola per la prima guerra mondiale, che diventano un libro vivo. Non mi viene espressione migliore, perché prima di partire passiamo da qui, l'Ossario di Oslavia. Pallido e silenzioso, ci accoglie con una sola frase.
Qui riposano 57.200 italiani e 539 austro ungarici. Ragazzi... Ripenso alle parole di Dario. No, bambini. Mandati a combattere, traditi, schiacciati. Pochi testimoni, tra di loro la reporter di guerra della quale ho appreso grazie a Silvan, che quella storia tiene viva perché sia più forte della morte.
Quando entro, non c'è più parola che esista. Solo nomi, che sono stati volti, sorrisi, gemiti d'orrore, una preghiera.
Trovo due ragazzi con lo stesso nome del fratello del nonno Mario, Pietro. Lui non è qui, ma a Redipuglia. È come se il dolore si moltiplicasse.
Stordita dal silenzio di questa guerra, esco e guardo Gorizia.
Sono stata dentro la guerra, con la guerra dentro. Dal castello illuminato da un raggio testardo al confine sloveno, tutto è pace: su di essa scende il rintocco delle tre. L'ora del supplizio e della rinascita.
Non amo frequentare ossari e cimiteri, né di guerra né civiii, ma condivido le tue emozioni. Le mie radici sono poco omogenee: il nonno materno ha combattuto la mondiale da cittadino dell'impero e ne è uscito travolto, fino a morirne di rabbia lasciando la nonna e le loro tre figlie. Le radici di famiglia della mia mamma ci sono trovate coinvolte sia nella prima mondiale che in quella dei quaranta. Dalla parte paterna, legata alla Siciliia, solo un cugino, aviatore, è caduto in quella fuori dai confini in quella di Spagna. Pianto per tutta la vita dalle due sorelle oltre che dai genitori. Erano mie amiche, sempre in nero, durante le mie visite ai nonni. I padri di coppia sono stati coinvolti solo nell'ultimo scatto dopo Caporetto che ha portato alla vittoria e alla definitiva italianità di Trieste e frazione di una piccola dell'Istria, che è stata la mia terra di nascita. Radici tutte sparse in tombe ormai anonime. Mio papà è stato toccato solo durante il tempo di Salò, deportato in Lager in Renania, scampato per avere giocato a scacchi con un comandante antinazi e riaccompagnato miracolosamente a Busto da un giovane croato della Wehrmacht, riassorbito a Varese (aveva 19 anni) con la sua divisa. Perkovich, si chiamava, io a 12 anni gli ero amico.... Papà venne nascosto nella repubblicana val Vigezzo, poi riprese vita a Busto in spola con la Milano attiva del dopoguerra, fino a morte serena nella villa per anziani del Ministero delle poste, a ridosso di Lecco. Un cimiterino dove riposa in pace. La mamma a Busto. Verrà la giornata dei morti. Anche la visita al monumentale, dove si trovano le spoglie Davide, ancora esuberante per le sue ricerche su vulcani e quelle sui giacimenti d'idrocarburi nei mari del nord. Fu stroncato a 29 anni, in piena bordata, di vita e esistenza! E' l'unica spoglia che mi stimola rapide visite per un breve raccoglimento. Sua madre lo incontra spesso in occasione di frequenti visite. La memoria, richiama ricordi ed emozioni, anche in libertà di luogo.
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