La sera si stende placidamente e con una dolce freschezza: tutto è perfetto e ci viene da mormorare una preghiera per chi, solo poche centinaia di metri più giù, sta boccheggiando.
Nella semioscurità avverto un passaggio consistente sotto le mie ginocchia e penso che il gattino vagabondo si è fatto più ardito. Un lieve sobbalzo e mi accorgo che il felino in questione è in realtà una cavalletta (gigante, sottolineo, gigante davvero, e credetemi per una volta) che si era accomodata sulle mie gambe.
Urlo di rito, e lui che dice: piantala,è normale, normalissimo.
Lo so, ma perché questa diabolica cavalletta deve restare qui con noi, nascondendosi in ogni pertugio per saltar fuori ogni cinque minuti e gridare a modo suo "buuuuh"?
Sola nella mia angoscia da cittadina trapiantata, lui non la vuole mandare via.
Il giorno dopo, un mio amico mi spiega che qui si chiama "la sciura". Si accomodi, sciura. Come al solito, mi sono dovuta spostare io.
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