- Ragazzina, ma tu sei della
Roma? E vivi qui a Busto Arsizio?
Fuori dall'atrio dell'albergo, io ho solo voglia di piangere, perché il mio piano perfetto è stato smantellato dal portiere, mica della squadra. Niente autografi dei miei eroi, sbattuta fuori appena nella reception avevano capito che la persona che cercavo era un'invenzione, per incontrare i miei campioni.
E io invece l'ho appena incontrato, un campione, solo che ancora non lo so. Vedo solo un uomo dagli occhi buoni, che si preoccupa della mia tristezza.
- Ragazzina, non piangere e stai qui. Adesso andranno tutti a cena, i giocatori della Roma. E tu avrai gli autografi di tutto, te lo prometto.
Questa storia comincia qui, Giorgio Rossi. E non finisce mai. Nemmeno oggi che tu te ne sei andato o così pare. Perché dopo 55 anni (e più) con la Roma e a fianco dei più piccoli, come dei grandi, con la stessa cura, con il medesimo sorriso, non si può mica andare lontano.
Un senso della vita
Abbiamo viaggiato insieme per un bel pezzo di vita, nel nome del calcio e qualcosa di più. E io non posso che dirti grazie, ancora. Anzi, per sempre, dentro quel campo infinito in cui sei sceso, o meglio salito.
Bisogna tornare alle origini del nostro incontro sì, quando nella lombardissima Busto Arsizio io cresco romanista. Un po' per spirito da rompiscatole, all'inizio, un po' perché avvertivo qualcosa di speciale, un senso della vita che raramente ho trovato poi nel calcio. Vincere, che brivido, ma farlo con stile, con passione, senza ingordigia: altrimenti amen, siamo felici ugualmente. Ne parlai anche nel mio libro dei secondi, ricordando l'importanza della tua amicizia.
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Io allora ero emozionatissima di incontrare Falcao, grazie a te, ma nel cuore mi sono rimasti gli occhi onesti di Di Bartolomei. E poi Nela, il mio prediletto. Tutti sfilavano davanti a me, e grazie a te tutti firmavano puntuali il mio quadernetto.
Mica era finita. Mi chiedevi di tornare, il giorno dopo, per inondarmi di foto. E l'hai sempre fatto, scrivendomi biglietti, aggiornandomi sui campioni, mandandomi pure la maglietta con dedica, di anno in anno, di decennio in decennio.
- Ciao, Marilena. Sto a massaggià er Pupone.
E io ridevo, perché grazie a te, ho fatto sempre sparire le lacrime, memore di quella prima lezione.
Rimanendo bambina
Crescevo, rimanendo bambina, ma solo tu potevi spiegarmelo sul serio. Come quando affrontai l'esame orale di giornalista. Concentratissima, peccato che scoprii che nel ristorante davanti all'hotel ogni tanto passava Giannini. Al che la mia attenzione si spostò più alla necessità di mangiare lì, per incontrare il Principe.
Non accadde, ma i camerieri fecero un tifo spropositato per il mio esame e festeggiammo. In quell'occasione, prima dell'esito, ricordo una passeggiata insieme in cui tu provasti a offrirmi un caffè. Solo che per fare cento metri, ci abbiamo messo mezz'ora e di caffè non so quanti ce ne hanno offerti passanti e baristi.
Ma il momento che mi ha spalancato ancora di più la consapevolezza su ciò che sei, sull'amicizia, sulla lealtà, sul calcio che racchiude tutti questi valori, è venuto dopo. E prima di altri piccoli, grandi gesti.
Quando arrivo a Roma per seguire un incontro al Senato. Terminato l'evento, sono ad aspettarti con una serie di persone seriose, finché ti presenti tu, che invece sei serio. Sei vestito nel segno dalla Roma dalla testa ai piedi e quelli ti guardano male, io ti ammiro e mi dico: meno male che Giorgio è venuto a prendermi e adesso chiacchieriamo un po'.
Invece, mi fai salire in macchina, perché devi farmi conoscere una chiesa che nessuno di questi lombardi di passaggio si ferma a scoprire mai. Io rimango ammirata, mentre me ne racconti la storia.
Mica è finita.
La lettera custodita
Mentre mi riporti in albergo, apri il cassettino dell'auto e mi mostri un foglio: è la lettera di ringraziamento che ti avevo scritto tanti anni prima, quando mi avevi fatto conoscere Tancredi, Di Bartolomei, Falcao, Conti, Pruzzo, Nela, Chierico e tutti, tutti gli altri, compreso Liedholm naturalmente.
L'hai conservata con te per tutti quegli anni, quella missiva scritta dalla ragazzina di Busto Arsizio, che intanto vergava di giallo e rosso i fogli e sognava un calcio così, per sempre.
non è stato un calcio così, per sempre.
Ma tu Giorgio, sì.
E allora adesso che mi fa male, proprio male, sapere di non poterti più abbracciare, io ripeto la frase che è caduta in questo cassetto più di una volta.
Mica è finita.
Tu ascolterai sempre i piccoli, accanto ai grandi, e sempre ti dirò:
grazie Giorgio.