All'ombra di un palazzo ammutolisce un motorino. Lo scorgiamo mentre siamo immersi in una diligente attesa: un uomo si toglie il casco e afferra il cellulare.
La sua voce ci raggiunge, il suo sguardo si arrampica: «Affacciati al balcone, che ti saluto». Adesso non guardiamo più, come a temere di infrangere un momento privato e prezioso, con le loro distanze che si abbattono con gli occhi.
Affacciati che ti saluto.
Penso al compleanno di un'amica in un Paese lontano, che mi manca moltissimo. Lei pensava di trascorrerlo con il marito, isolati per il virus, perché non era prudente che tutta la famiglia si riunisse. Poi, un movimento alla porta: nessuno varca la soglia, ma ciascuno si presenta con fiori, doni e un sorriso che sprizza dagli occhi. È stato un giorno speciale, mi confida.
Io non ho visto quella scena, però grazie al suo lieve ritratto via mail mi sento lì. Anch'io vicina e anzi una volta terminato di farle gli auguri, avverto la tentazione di affacciarmi al mio balcone: magari c'è qualcuno che sta pensando proprio a me e passa apposta o finge di farlo per caso, così io spalanco subito la porta del cuore.
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