Ci sono giorni bastardi più bastardi degli altri. Penso ai dolori, dannatamente leali e inflitti gratuitamente, finché arrivo a fotografare questa data.
Sei maggio. Perché maggio, il mese della preghiera che fiorisce contro ogni ostacolo, si immerge così nella sofferenza? Il cinque, avrei pianto per Bobby Sands ed era solo l'inizio. Ma anni prima… Ve l'ho già raccontato, eppure - peggio del vecchio marinaio - non riesco a tacere.
Mamma è via, questa sera, in una seria riunione, e io sto vedendo un film. Ho sette anni e va tutto bene, se non ci fosse quel tintinnio di vetri, sopra le righe. Papà è al telefono e ne è infastidito: si gira pensando che io stia giocando con la finestra e sta per sgridarmi.
Gli basta un attimo, per capire che non è così. E' il lampadario che sta danzando senza gioia.
Papà abbandona il telefono e mi afferra. Siamo costretti a scendere sull'ascensore, e ogni istante sembra lungo nei suoi occhi, così anche nei miei.
Fuori, si è riversata la via. Può accadere di tutto, ora che ci dichiariamo al sicuro. Si può sbriciolare il grattacielo o si può aprire la strada.
Altrove, il dolore è già insopportabile. Altrove? E' il Friuli, è qui. E quando torna la mamma, non la lascerò andare via più. E quando, due mesi dopo, vedrò danzare un lampadario, correrò dal nonno immobilizzato a letto, tra le lacrime. Finché la sua voce buona e un po' stanca mi calmerà: bambina, è la corrente d'aria.
E anni dopo, il mio primo direttore e specchio di padre mi racconterà di quando lui c'era, in Friuli, a scrivere di quanto non si poteva sopportare.
Ci sono giorni bastardi, e altri più ancora.
Notte, in questo giorno bastardo.
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