Apro un libro speciale a cura di Giuseppe Gabri: i 20 anni di "In tra da nögn". Lo so, che se ci finisco dentro, in quegli anni, non ne esco più.
Vedo persone a me care celebrate come giovani colleghi. Scorgo storie così vicine a me che non so se sorridere o commuovermi. Facciamo entrambe le cose, dai.
Poi inciampo in una serata in cui ho parlato persino io. Ed erano tempi in cui detestavo parlare. Ma c'era da raccontare lui. Non solo il mio primo capo. Quello per cui ho iniziato, e il cui stile di giornalista ho capito meglio di anno in anno: perché già stava rischiando di scomparire, divorato da fretta e volgarità.
Sì, gli ho voluto un mondo di bene.
E sì, l'ho sempre chiamato signor Fusetti. In barba al vezzo giornalistico di darsi del tu, per una presunta democrazia.
sì, io stavo bene alla rivista dove scrivevo mentre studiavo. E sì mio padre mi suggerì: manda una lettera al signor Fusetti.
Fu quotidiano. Con tutte le conseguenze del caso. Ma spesso ripenso allo stile preciso e garbato del signor Fusetti e delle altre persone spettacolari che ho incontrato e letto in quegli anni di Prealpina, ai tempi di Mino Durand. Uno per cui in questo periodo ringrazio pure Facebook, perché ne leggo ricordi intrecciati a canzoni: Maniglio Botti.
E medito: non importa quanto volgarmente urli il mondo, c'è sempre un signore nella tua vita dal quale puoi imparare tanto. Persino più di uno.
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