Quando tiri fuori i tuoi scritti dal cassetto?
Mai, papà. Non mi interessa.
Scrivere per me era altro: scrivere oltre la cronaca, attingere da ciò accadeva dentro di me e non fuori. Né mi importava che ciò uscisse. Anzi.
Finché ci fu un patto, un patto neanche segreto, fra me e mio padre. Lui si sarebbe messo a scrivere, il titolo era già pronto prima del racconto grazie all'intrepida azione del nonno Giannino all'inizio del Novecento. E quel libro sarebbe uscito.
Quando il nonno prese per il naso il Re.
E mío padre Nino ha scritto, scritto. Di quel gesto, della sua famiglia, di sé e del suo viaggio con i telai in tutto il mondo. Poi, un giorno ha posato la penna. E ha atteso che la prendessi in mano io. Che lo completassi, quel libro, mentre lui tifava da lassù.
Ecco perché questa data la metto a fuoco così: il 22 ottobre di dieci anni fa. Con una locandina, un giorno più volte benedetto: il compleanno di nonno Giannino, la prima presentazione di questo libro scritto da me e papà, a pochi metri da dove venne alla luce proprio Giannino e da dove era stato a lungo barbiere. E se don Gnocchi ci riporta al 25 ottobre, data della nascita, il processo sul miracolo si aprì qualche giorno prima.
Ma da allora, ho dovuto anche tirare fuori dai cassetti tanti pensieri e qualche altro libro. Io che starei dichiaratamente rifugiata in un bel faro, come asseriva fosse suo sogno anche papà, mi trovo qua fuori, con le parole che non sono più mie. E anche se questo significa spesso avvertire il tonfo del vuoto nel cuore, anche se nei cassetti entra la polvere del tempo, li lascio spalancati alla speranza di un altro passo, un'altra storia.
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