Appartengo a una generazione senza guerra. Dove senza guerra
significa nessun conflitto e dolore vissuti in prima persona, sulla propria
testa, nella propria carne. Guerre asettiche, esportate, di fronte alle quali
ciascuno ha la propria reazione. Ma sempre disincarnata.
Penso a Rossella in Via col vento quando torna ad Atlanta e
rabbrividisce per un tuono; poi spiega che d’ora in poi quel rumore le
ricorderà sempre i cannoni.
Pochi giorni fa, parlavo con una signora ricca di anni,
ragazzina ai tempi della guerra. Il rumore non è un timore sepolto. Mi
raccontava anche che la fine del conflitto mondiale coincise con la scuola per
lei, dunque gli allarmi, i bombardamenti, la fuga collegati a quella
fanciulezza mutilata. Mi ha detto: se fosse tornata una guerra, avrei preferito
morire. Perché quella paura addosso è la ferita peggiore.
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