A ridosso del giorno più terribile per me, la morte di mio padre, si intrecciano fatti e sensazioni così contrastanti.
Inizio male, malissimo. Con un altro papà che se ne va. Un uomo gentile il cui ultimo ricordo è una lunga conversazione estiva. Di ritorno da una vacanza e con addosso ancora quella serenità, mentre mi parla di un grande amico e di un sogno che aveva realizzato con lui: per gli altri, non per se stessi.
Mi dico che quella serenità e nuovi sogni devono ancora esistere con lui da qualche parte, ma non posso negare la commozione.
E sto abbastanza male da dover fuggire per una manciata di minuti verso l'incoscienza, dove la febbre non dovrebbe portarmi. Nella testa mi martella la voce di mio padre, anch'essa gentile.
- Perché non sei allo stadio?
- Perché dovrei andare allo stadio, papà. Non ha senso, nelle tue condizioni.
- Perché ti piace, perché è la tua Pro Patria.
Allora scappo, tanto ora sono le mie condizioni. Fa freddo fuori e dentro, ma non importa, se incontri le braccia degli amici. Se mentre entri, la tua squadra spara il secondo gol e Bortoluz esulta: vorrei correre ora, come lui, anche se il fiato non c'è. E pensi che anche lassù ridono, ridono forte, a partire dal nonno tigrotto.
che cos'è stare bene? Non lo so. Forse, solo essere vicini, sotto gli occhi di tutti o contro ogni apparenza.
Notte e siamo più vicini.
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