Poi per un articolo, che scrisse lui nel 1967. Io a questo mondo non c'ero ancora o meglio - penso calcolando con un brivido - cominciavo a esserci.
Con lui come direttore ho cominciato a scrivere, 23 anni dopo. E a essere Malu.
Leggerlo per me significa assaporare il linguaggio e l'arguzia che mi affascinavano di lui. Mi sembra di riaverlo vicino. Rivedo, risento il mondo in cui credevamo con tutte le nostre fragilità. La febbre della notizia, che non doveva però strappare la lucidità. Il rispetto, cardine verso i lettori e non solo.
Mi rivedo con lui e altre persone a un evento, subito dopo a mangiare un boccone in pizzeria. E lui a chiedere ciò che gli premeva:
- Un telefono per favore.
Dentro i gettoni e la chiamata a Fausto per farsi leggere ogni titolo, ogni dettaglio della prima pagina.
Lo rivedo. Ci rivedo.
E poi certo anche i momenti di amicizia, con le goliardate e le confessioni solenni. L'unica volta in cui si sono incontrati lui e mio padre, provati nella vita da un dolore simile eppure capaci di combattere come leoni.
La seconda volta in cui mi hanno operata, il giorno dell'intervento era convocata l'assemblea al giornale, l'assemblea che segnava la sua partenza.
C'era un corridoio lunghissimo e gli avevo proibito di venire a trovarmi: troppo faticoso per lui. Era lo stesso motivo per cui avevo implorato a mio padre di non venire, sarei uscita presto. E sapevo quanto gli costasse, sapevo che non mi avrebbe ascoltata.
Papà, testardo coraggioso.
Anche Mino Durand.
Mentre il mondo faceva altro e io fissavo stanca un piatto con un triste certosino, sentii un trambusto e vidi entrare il direttore , al braccio di un giovane collega.
Scoppiai a piangere.
E lui: figlia, mangia.
Tante parole di Durand ho nel cuore, ma queste ultime due mi accompagneranno sempre, con il suo sorriso birbante e generoso. E in ogni lotta, in ogni inizio ci sarà anche lui.
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