In una giornata da semireclusa tossicchiante, guardo il movimento inaspettato attorno alla mia scuola.
Il viale, di solito, dorme sempre la domenica. Io ci passo, dopo aver votato nel mio seggio lontano, e mi fermo a osservare. Vedo volti di persone che si colorano di una frenesia simpatica, dopo questa velenosa campagna referendaria.
- Hai visto quanta gente sta votando?
Come se vincessimo qualcosa. Ah sì che vinciamo qualcosa: magari un pizzico di democrazia in più nelle nostre menti, sempre impregnate di tifo da stadio, in tutto. Quello malevolo, che più che alla tua squadra fa pensare (male) dell'avversario.
Persone felici, anche perché si ritrovano fuori dai seggi. Un ragazzo a me caro che oggi indossa un sorriso strepitoso: non ha lavoro da tempo e in questi due giorni gli sembra di essere rinato perché sta "facendo qualcosa". Metto in fuga il magone e voglio pensare, no, lo sento che presto qualcosa di buono per lui accadrà.
Forse persino per ciascuno di noi. Perché oggi ho messo il rossetto prima di votare, come l'anziana vicino a me aveva l'abito di festa. Votare è una festa, sentire di poter dire o fare qualcosa. Come un petalo di vita che ci ha offerto qualcun altro e che noi possiamo accarezzare.
Notte e votare è una festa.
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