Ci sono giorni intrappolati dai guai, quanto dalle opportunità, che devono trovare un'isola. Un luogo in cui non rifugiarsi, ma osservare meglio tutto ciò che accade laggiù in città.
Ed ecco che mentre ascolto rogne di casa nostra, digerisco piccole malignità, sento le voci felici dalla Cina nel raccontare un progetto, brilla un numero sul display tra una telefonata e un'altra.
- Sono Angelica, sto ripartendo dall'Italia e ti volevo salutare.
Angi che fa mille cose, una più importante dell'altra, che affronta rogne enormi lontano e vicino, che digerisce con quel suo sorriso magnifico le malignità di un mondo che grida solo sotto la luce deviata dei riflettori, che semina la pace giorno dopo giorno con i suoi ragazzi di Israele, trova un minuto, magico e indissolubile, per chiamare me.
Questa foto, di felicità pura, risale a tre anni fa, in occasione di Expo. Ma mi accorgo solo ora che ci conosciamo da quasi vent'anni. Che nessuno ci ha mai scattato una foto nel momento incredibile in cui ci siamo incontrate. E per forza, perché in realtà ci eravamo incontrate già prima, grazie alle righe da lei tracciate.
Non tengo questa telefonata per me, perché vorrei gridare a tutto il mondo non solo la mia felicità per quest'amicizia, ma l'ammirazione ancora una volta per questa donna, la sua famiglia, il suo popolo, ciascuno dei ragazzi che ho incontrato con le loro fedi capaci di unirsi in una sola, pacifica sfida.
Il balsamo discreto dell'amicizia, che non ha bisogno di riversarsi ogni giorno con un grido. Ma si colora di un minuto magico e indissolubile, come sa essere l'umanità.
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