Le foto e le riflessioni di alcuni colleghi cari in occasione di un compleanno importante, sono una scintilla per i ricordi. Quelli che non si possono scrivere nelle cronache, non fanno rumore, ma nei cassetti sì.
Mi fa piacere aver percorso un piccolo pezzo di strada assieme alla Prealpina, che ora celebra i suoi 130 anni. Le faccio tanti, tantissimi auguri.
Io ne ho solo quindici condivisi nella redazione dove sono cresciuta, dove ho imparato a fare i primi passi, i primi sbagli, i primi progressi. Anzi, dove sono entrata per la prima volta a diciotto anni, tutta fiera con altre compagne per portare una notizia bomba: il primo sciopero nella mia scuola.
Due anni dopo tornai da Gianni Fusetti, il mio primo caporedattore, e continuo a pensare alla fortuna di aver avuto lui, un signore del giornalismo, una guida come Mino Durand nelle vesti di direttore e altri colleghi preziosi.
Questa sera tuttavia, chissà perché mi vengono in mente le sigarette di Antonio Porro. Antonio fu il mio capo per pochi anni, ma fondamentali per cercare di essere una cronista testarda e sincera. Cercare, perché non ci arrivi mai. Sentivo la pressione con lui, che sapeva tirar fuori qualsiasi notizia. Ma avvertivo anche che Antonio una soluzione, un'idea, le aveva sempre. Brusco quanto basta per poter trasmettere il suo affetto, arrivava nel pomeriggio carico di sigarette e pronto a trangugiare caffè doppi. Allora convivevano computer e macchine da scrivere, e lui usava queste ultime con un dito solo. La sera, rileggeva ogni riga in pagina con una lente di ingrandimento e non usciva un refuso. Restava lì fino a notte ed era un mistero (poi risolto, ma che terrò nel riserbo) su come giungesse lì e come ripartisse visto che non guidava.
Allora non c'erano cellulari; se la sera accadeva una notizia di nera a dieci chilometri, ma nella tua zona comunque, e avevi un'ora per chiudere il giornale, eri ragionevolmente spacciato a meno che non avessi lui, Antonio, che con naturalezza ti aiutava a scrivere trenta righe.
C'erano due aspetti chiave nelle redazioni allora. Primo, si fumava tantissimo. Secondo, in qualche modo, tra mille differenze, c'era una strana forma di amicizia. Non poteva accadere che qualcuno avesse dei problemi e non venisse in qualche modo soccorso, pur di soppiatto.
Un giorno, nella nostra redazione trasferirono un collega, che aveva dovuto affrontare una lunga terapia per la sua malattia. Dopo una settimana, osò chiedere timidamente ad Antonio con il quale condivideva l'ufficio: scusa, potresti fumare un po' meno?
Antonio scosse il capo: non avrebbe fumato un po' meno, avrebbe semplicemente smesso di fumare.
Naturalmente non lo prendemmo sul serio, ma fu proprio ciò che accadde.
Da tre pacchetti al giorno a zero.
Qualche perfido raccontò che nella notte, passando fuori dalla redazione deserta, vedeva una lucina rossa nel buio, come di una sigaretta, sul balcone. Ma anche se fosse, ciò non toglie nulla al prodigio che fu il suo gesto.Oggi mi viene in mente questo episodio, e tanti altri, piccoli e veri.
L'amicizia al tempo delle sigarette. E persone che non si possono dimenticare, con gli anni che scorrono e le sembrano portare ancora più vicino.