lunedì 31 dicembre 2018

Un incontro sul fiume e salpo ancora

Un incontro sul fiume, di tempi e di tempo.

Forse questa immagine di Dundee abbraccia il mio anno con particolare vigore. Ho viaggiato in luoghi noti e sconosciuti quest'anno, ricevendo comunque un abbraccio familiare. Ho sentito tanto la mancanza della mia collina e conto i giorni per ritrovarla.

Nella mia Scozia ho ritrovato il sapore dell'incontro. Degli amici, delle storie, del coraggio, della cultura.

Ho ritrovato il capitano Scott e la sua nave di umanità.


Ho conosciuto Kengo Kuma, architetto che ha creato l'incontro sul fiume Tay, il nuovo museo V&A che sfiora con lo sguardo la Discovery e mi svela meraviglie dell'umanità.

Poi è come se fossi salpata con quella nave. 

Tanti volti ho incontrato, alcuni li ho persi o meglio sono scomparsi dall'orizzonte, anche se sento che navigano ancora con me.

E ho visto scorrere fiumi di cose da imparare, rammaricandomi di riuscire a assorbirne così poche. 

Ma cosa conta quando salpo ancora, incontrando storie sul fiume, fiumi di storie.

domenica 30 dicembre 2018

Non può starci dentro tutto un anno

Prima di lasciare quest'anno, mi guardo indietro e penso così.

Sfogliando foto e brividi, passi avanti e tracce di sabbie mobili, viaggi della e nell'anima.

Non ci può stare dentro un anno intero, in questa pioggia di vita.

E poi mi rendo conto che dentro, ci sono davvero io. 

Con la riconoscenza che mi rende lieve e mi fa ripartire, con un ultimo sguardo.

sabato 29 dicembre 2018

Volevo abbracciarti

Ti racconto la favola, che non avevo voluto ascoltare.

Per una vita sognavo di abbracciarti, piccola creatura.

Finché mi hai abbracciata tu.

venerdì 28 dicembre 2018

Se è colpa mia risolvo

Imparo ogni minuto, soprattutto dove i soggetti non si prefissano di insegnare. Dove creano e condividono, persino sottovoce, con dei testoni come me.

E quando incorrono in un problema, restano disorientati un attimo solo. 

Poi si rischiarano: se è colpa mia, la risolvo.

Che bella la responsabilità. Si può risolvere tutto.

giovedì 27 dicembre 2018

Dentro questo silenzio, siamo noi

Scrivendo, a volte voglio portare in vita personaggi che non esistono, come se potessero migliorare il mondo che noi deturpiamo.

E più spesso, vorrei riportare in vita coloro che non ci sono più o così pare al nostro sguardo incerto. Anche se sono loro che in vita spesso mi tengono davvero.

Scrivere, per non dimenticare di vivere. Parole che si dissolvono, al desiderio di un abbraccio silenzioso, ancora. Sentire che ti afferrano la mano, vedere uno sguardo avido di vita, cogliere la smorfia che precede una risata o una lacrima.


Dentro questo silenzio, siamo noi, che su questa terra ci muoviamo o da essa siamo passati.

mercoledì 26 dicembre 2018

Più fragile di un giunco, come una regina

Da qualche tempo incontro una fragile signora. Come un giunco piegato dal vento, con un bastone poco convincente che prova a supportarla.

Si trascina in chiesa, con una fede che si maschera di ostinazione.

Sembra che possa cadere a ogni passo, eppure nessuno mi sembra più saldo di lei, quando sfiora i gradini della chiesa.

Più fragile di un giunco, più forte di tutti noi, lei procede come una regina. Una vera, che va a servire e da niente si fa fermare, neanche da se stessa.

martedì 25 dicembre 2018

Natale, senza diventare di gesso

In questo Natale ci sono dei super fortunati. Sono i sinaghini, gli abitanti del mio rione, ex Comune, che hanno potuto stringere tra le mani il racconto di Natale di Ginetto Grilli.

Il maestro ha scoperto un segreto. Sant'Antonio, il Gesù Bambino e il ragazzino scalzo che tende la mano per ricevere  il pane, non sono sempre di gesso. E hanno tanto desiderio di sentire i vecchi canti di Natale.

Io non posso svelare tutto il racconto, ma lo assaporo di parola in parola.

E penso anche questo.


A volte si può, mi verrebbe da dire si deve per non andare a pezzi, diventare di gesso. 

Ma c'è sempre un modo per restare intrisi di umanità. O divinità.

C'è veramente poi differenza?

Buon Natale.


lunedì 24 dicembre 2018

La Vita e un goccio di whisky

Che cos'è la vita. Chiara, che la vita sembra aver solo sfiorato, eppure ci strattona quando siamo sul punto di distrarci o lagnarci (spesso la stessa cosa).

Sono colpita dal coraggio di Striscia la Notizia, che ha deciso di dedicare la vigilia a questo libro, edito da Nomos. La storia di Chiara che in poche settimane (in apparenza), ribalta il mondo per poter aiutare tanti bambini e forse molti più adulti.
 
 

E noi a tutto questo coraggio, e alla delicata missione che offre a ciascuno di noi, vorremmo brindare, ma il nostro whisky è finito. Abbiamo dimenticato di comprarlo.


Finché mi viene in mente che c'è il whisky di papà. Quello che non bevevo perché bastian contrario. Quello che per dieci anni è rimasto qui ad aspettarti.

E ancora lo farà.

Perché lo assaggiamo, ma attenti a lasciare un dito, un dito per te.

Perché tu tornerai, papà. Perché la vita ci aspetta sempre 

domenica 23 dicembre 2018

Il tempo degli aggettivi (addio duellanti)

Nutrivo una mancanza totale di comprensione per i duellanti: non vedevo nulla di onorevole o romantico nel mettere la vita (propria e dell'altro) a repentaglio per principi di fragile costituzione. Nemmeno la canzone degli Iron Maiden - che mi ha fatto stringere la pace con tanta storia - è servita.

Oggi se non sto cambiando idea, almeno vacillo. E sta accadendo un'altra metamorfosi: ho voglia di aggettivi. Questa molto più impressionante, visto che per amor di cronaca mi sono sempre impegnata a farne a meno o a eliminarli se li individuavo nel io testo.

Adesso, ne ho bisogno. 

Che c'entra con i duellanti? Oggi vedo sempre più spesso dei tizi che vengono definiti terroristi e basta. Che cosa fanno? Prendono due ragazze inermi, le violentano, le sgozzano, le decapitano. Che coraggio, che uomini. E quante atrocità con i bambini, a volte anche soffocate, magari usandoli come scudi umani o mandandoli verso la morte. E con altre persone che non possono difendersi.

Mica prendono un altro, armato, e lo sfidano. Come avrebbero fatto i duellanti.

No, e perché?

Perché sono vigliacchi. Maschi vuoti e neanche maschi. Vili. Codardi. E tutti gli aggettivi del mondo.

Mi sono già balenati davanti, nelle pagine terribili di Auschwitz. Allora si chiamavano nazisti, ma erano esseri senza dignità e senza umanità, vigliacchi uguali.

E negli anni, li ho visti ricomparire, come se nulla fosse. Quando ero ragazzina, (non avendo per fortuna da bambina potuto cogliere la vigliaccheria all'ennesima potenza dell'eccidio delle Olimpiadi di Monaco), ho infilato nella memoria e nel cuore un episodio simbolico.

 Sull'Achille Lauro, l'assassinio codardo di un uomo in carrozzina, Leon Klinghoffer, buttato in mare.

Quello che mi manca in questi drammatici racconti, arrivando fino in Marocco alle due turiste massacrate, sono gli aggettivi.

Usiamoli.

Non siete nemmeno terroristici. Non basta fanatici. Non siete uomini.

Siete dei vigliacchi. Questo è il tempo degli aggettivi e voi di sostantivo non avete niente.

sabato 22 dicembre 2018

Nascondendoti ti riveli

Volevo catturarti mentre arrossivi o ti vestivi della nebbia argentata. 

Ma ecco che scivoli nel mio obiettivo mentre ti nascondi. Il mio lago che sa essere arrendevole, mai sfacciato.

Dall'alto della collina garbatamente innevata, io non resisto alla tua verità. Sei il lago Maggiore mio di sempre, quello che sembra danzare nella foschia di inverno, per poi riposarsi d'estate quando tutto attorno si muove.

Nascondendoti ti riveli. Ora tra le siepi ghiacciate, poi tra i germogli sfacciati.

Sei il mio lago, quello che mi assomiglia più di tutti.

Nascondendoti ti riveli. E sbocci tra germogli di ghiaccio.

venerdì 21 dicembre 2018

Momenti di umana vita

Sapessi separare le emozioni, non sarei qui.

Sto cercando di mettere ordine in una storia da scrivere, mentre devo ritirare le pizze per la famiglia: un messaggio maldestro, mi sto occupando di voi.

E quando le sto portando a casa, il gatto vi si avventa sopra. Il mio interlocutore ha un riso di tenerezza: questi sono momenti di vita umana.

Momenti di vita umana, grazie a bestiole più cocciute di me.

Momenti di umana vita. 

Sapessi separare le emozioni, sarei proprio qui.

giovedì 20 dicembre 2018

Il premio è una pagina silenziosa

Sotto il ticchettio dell'orologio, si posa una pagina. Una pagina che riversa gesti, parole, esitazioni, in perfetto silenzio.

Tutto il rincorrere il tempo si scioglie come cera.

I personaggi che non ho creato io, in qualche maniera mi creano. E mentre parlano, il silenzio si fa più fitto.

Forse persino l'orologio tace, come curioso di sbirciare dentro il libro.

mercoledì 19 dicembre 2018

Un bambino sa cosa fare

Ci sono momenti in cui ti trovi catapultata davanti a una platea troppo grande. Qualcuno li chiama bambini, ma tu già sai  - e ancora di più ti rendi conto - di quanto abbiano insegnarti.

Ti chiedono di Mafalda, nella scuola di via Crispi a Merone. Questa piantina gettata nel Lambro per cattiveria o disattenzione (che poi forse sono la medesima cosa). Ti fanno delle domande, eppure sono le loro risposte che ti lasciano a bocca aperta.

Loro lo sanno già. Che tocca a noi. Rimproverano il papà o il vicino che getta la sigaretta o la cartaccia, ma sanno che i primi che devono rispettare questo nostro ferito mondo, siamo noi. Che a volte sbagliamo, magari per seguire gli altri e sentirci più forti.

Io ascolto questi bambini, che mi colmano di risposte travestite senza malizia da domande, e so che sto imparando da loro. Che grazie a loro, potrei persino crescere.

Perché un bambino sa cosa deve fare, sempre. 

Ringrazio chi mi ha aiutato a capire che una pianta è più potente di un grattacielo. Perché ti fa venire voglia di proteggerla e ti dà ombra, nella vita.

lunedì 17 dicembre 2018

Cercando un lavoro (o forse Natale)

Ci sono giorni un po' più complicati, che ti scaraventano addosso raggi di sole e scrosci di tempesta, senza che tu possa capire da cosa ripararti.

Giorni in cui senti le emozioni di tanti addosso a te, perché ce le hai dentro da prima ancora.

Io oggi vedo mio nonno, quando gli dicono che la sua azienda chiuderà. Lui ha i bambini piccoli, sua moglie fragile anche se non ancora apertamente malata: lei lavora tuttora, con fierezza. Lui prende le sue cose, dalla sua valle e decide che deve fare come gli altri: andare in città, dove tutti trovano lavoro.

Quando sei un contadino, prima che un operaio, è dura spingerti via dalla campagna, dalla sua consolazione anche solo temporanea. Ti infili in un palazzo che pur è una reggia rispetto al tuo cortile; ti fai docilmente portare in tintoria, a bere latte per contrastare tutto ciò che respiri. Ce la fai, perché hai i bambini piccoli. Perché sopra di te, hai persone che di te si prendono cura.

Ce la fai, ma raccomandi a tua moglie, prima che si ammali, si ammali troppo per poter lavorare se non seduta davanti a una macchina da cucire: donna, non restiamo nella stessa ditta, è troppo pericoloso. Se perdiamo il lavoro, che cosa facciamo. Se perdiamo il lavoro, non sarà più Natale.

Chissà come ce la fai, nonno, a stare chiuso dentro tra quattro mura, a bere latte, a poter respirare solo di tanto in tanto l'orto che ti sei faticosamente ricavato per ricordare un poco la tua valle, anche nella grande città. Conti i giorni, e anche i centesimi, per poter tornare a casa: fabbricarti una piccola dimora e  fare il contadino, prima che l'operaio.

Cercando un lavoro, o forse il Natale: oltre alle buste paga, la tua luce viene dai gesti di riconoscenza del Tognella, il tuo titolare.

E in tutto questo cercare, mi raccontano proprio oggi, solo oggi di quando mio padre portava i clienti dell'azienda in cui lavorava, a pranzo in una trattoria. Ogni tanto vedeva il cavalier Tognella, sì, che era lì a mangiare.

A mangiare una minestra.

Cercando un lavoro (o forse il Natale).

sabato 15 dicembre 2018

Una storia di gatti rossi

C'è stato un tempo in cui pensavo che i soli gatti che mi avrebbero salvato, erano rossi. Forse perché ero un po' rossa anch'io, le lentiggini fieramente a ricordarmelo.

Ero cresciuta tra mici tigrati e altri esaltati da un'accattivante unione di bianco e nero (no calcio, grazie). Finché da zia Angelica scoprii che i gatti potevano essere rossi. Io li chiamavo gatti pomodoro, mentre entravo nel suo regno di un freddo sano, non consumato da avidi caloriferi.

Scaldati quel che basta, senza ammalarti. I suoi occhi erano chiari e sinceri, come quelli della mia nonna che non mi ero mai goduta per la malattia. E lei rideva di un riso che allora mi veniva da definire furbo, ma oggi so essere saggio.

Perché la zia Angelica era una donna dolcisissima, capace di confezionarti meraviglie dal nulla con l'uncinetto, meglio ancora frasi sapienti con il suo intelletto.

Un giorno entrò suo nipote annunciandosi con il suo nome, Dante, e lei chiese: chi, Dante Alighieri?

Gli altri sorridevano, ma io conoscevo la verità. Zia Angelica era colta, la vera erede di sua madre. Lei leggeva tanto, tantissimo, e io rubavo qualche riga, mentre accendeva la stufa. Assorbivo ogni parola e mi inchinavo alla sua corte.

E che corte. Gatti rossi, impigriti dal sole e dalla sua tenerezza.

Così ancora oggi scrivo storie di gatti rossi. E sorrido pensando ai suoi begli occhi, immensi come la sua voglia di leggere e scoprire un'altra storia ancora. Magari come una di quelle che da piccola le leggeva sua madre.

La mia saggia bisnonna Serafina. Quanti segreti aveva lei, quasi quanto i gatti rossi.

venerdì 14 dicembre 2018

I Magi e il bisogno di scoprire

Quando ero piccola, mi rammaricavo che oltre l'oro Gesù ricevesse due doni poco significativi come incenso e mirra. Non fosse altro che ne sapevo poco: della seconda soprattutto.

Ora, mi rammarico di quanto fossi cretina. E penso che non esista niente di più desiderabile.


Doveva essere una serata sui Re Magi dei B300, nella nostra biblioteca dedicata a un grande uomo come Roggia che questo luogo sacro di Busto ha reso possibile. E sui Magi ho imparato, compreso il fatto che proteggono la mia città.

Ma Giuseppe Montalto mi ha rivelato ancora una volta come il potere delle erbe sia qualcosa che va al di là della nostra comprensione. Che il vero oro è quello che non si calcola.
Che la natura ha detto tutto, basta saperla ascoltare. E che la Bibbia ha cercato invano di chiarire, persino ai testoni come me.

Le coincidenze, queste sconosciute. Perché se i Magi passarono o Barbarossa li portò (questione di punti di vista) non è un caso. 

giovedì 13 dicembre 2018

Notte e voi nella mia vita

Ogni tanto provo, non dico a dimenticare, ma a congelare i pensieri per tenere duro. A dire, Rossella O'Hara maldestra: ci penserò più tardi. E a tirare avanti.

Ma basta un anniversario. O un messaggio di una persona, che non vedi da moltissimi anni eppure hai ritrovato in qualche modo. E ti ricorda: guarda che in comune abbiamo il ricordo di lui.

Chissà cos'è il ricordo, forse questa fitta che ti strazia, per una raffica di minuti, prima di cacciarla via.

O forse questo sorriso che si schiude sul mio volto, pensando che due persone vedono il volto di una terza cara, che è volata via troppo presto.

Persone che nella mia vita sono state. E ancora sono, perché mi fanno sentire più vera di tanti volti vuoti che balenano attorno, come luminarie piazzate per contratto.

Notte e voi nella mia vita

mercoledì 12 dicembre 2018

I mitra e l'angelo sul bicchiere

Un anno fa di questi tempi il benvenuto ai mercatini natalizi di Strasburgo arrivò con i mitra. Schierati a proteggerci.


Potrei sbagliarmi perché di armi per fortuna non mi intendo. Mi ricordo che c'era allerta massima e dentro di noi combattevano paura e auto affermazioni di sicurezza. 

Oggi quell'immagine si mette in disparte, perché devo cercare una speranza.

Una persona amica di quel viaggio ha consegnato gelosamente il bicchiere del vin brûlé, perché sopra c'era un angelo dolcissimo. Me lo mostrò settimane più tardi, dopo un gran dolore.

I mitra, un angelo e la nostra vita appesa a fili che pur sembrano luminosi nella sera.

martedì 11 dicembre 2018

I messaggi solo la sera (e la vita tutto il giorno)

Di recente mi sono trovata in balìa del destino per un piccolo problema e per una persona troppo occupata per svolgere (con me) il suo lavoro. Grazie al cielo un'altra mi ha soccorsa.

Una donna gentile, alla quale avevo scritto un whatsapp, per timore di irrompere con una chiamata.

Mentre mi aiuta, mi chiede scusa per il ritardo nella risposta, che a me risultava pure simpatico (adesso che il problema era risolto, va bene), visto che non sono un'affezionata di questo social, a partire dai gruppi se non strettamente e saggiamente operativi.

Poi lei mi confida: i messaggi, mi sono ripromessa di guardarli solo la sera.

Io ora lo osservo con pura ammirazione.

I messaggi, solo la sera. E la vita tutto il giorno.

lunedì 10 dicembre 2018

Notte e da tanto non ti chiedo come stai

Un vecchio amico verga quattro righe, dico così perché mi sembrano innaturali percosse sulla tastiera: da tanto non ti chiedo come stai.

Sorrido e lo rincuorerò, perché sapesse quanti ritengono concluso il loro tempo con un frettoloso like. Mi interrogo su di me, forse faccio la medesima cosa.

Una persona oggi mi ha whatsappato: Mari, come va?

Come stai? Come va? Vuoi parlare? Sono domande così scontate, da non sentirle quasi più. Non davvero.

Allora bisogna tenere insieme questo circolo virtuoso e prima di rispondere scriverò a un amico: da tanto, non ti chiedo come stai.

Notte e da tanto non ti chiedo come stai.

Quello che ascolti

Quand'ero ragazzina, ho voluto insistentemente andare a un concerto. Oltre confine. Di quattro tizi mascherati. Grazie al cielo, per me anche un esempio di vita perché non hanno mai inneggiato a droga o alcol a manetta, ma diciamo che ricordo lo sconforto nello sguardo di papà quando ho deciso che sarei andata.

Lui mi assicurò che no, non sarei andata. Io a sedici anni per la prima volta puntai i piedi. Raggiungemmo un compromesso: non sarei andata da sola con gli amici, in Svizzera, ma mi avrebbe scortata la mamma. Così fece un'altra mia amica rockettara.

Le mamme ci accompagnarono in effetti, ma fino all'ingresso: poi andarono a cena, con l'ansia da una parte, però determinate a rispettare il nostro desiderio di essere libere, di sentirci grandi.

Così mia madre pronunciò due bugie per me. La prima: non entrò con me. La seconda, sicuramente l'unica scritta della sua vita: sulla giustificazione a scuola vergò con elegante calligrafia che io ero assente a causa dell'influenza.

Era il concerto dei Kiss, Bon Jovi giovanissimi al seguito, come molti che seguono i miei cassetti. Ora, i testi erano di ragazzi piuttosto bravi (a parte qualcuno audace, che non menziono) e i Kiss - non per rendere omaggio a mio padre - in quegli anni si tolsero pure la maschera.

Eppure in quegli anni ci fu la crociata contro i testi brutti e cattivi dell'hard rock in America e molti dei dischi che prendevo, ottennero un bollino-reprimenda, che incentivò le vendite tra i ragazzi. C'è un momento della vita in cui bisogna ribellarsi per sentirsi grandi e quello era un modo piuttosto indolore per molti della mia generazione. 

Arrivarono anche i Guns, che musicalmente mi piacevano molto, mentre la loro filosofia di vita non era proprio la mia.  Ma del resto, ascoltando i Doors, potevo sempre sorridere? Se uno prende alla lettera "The end", che fine facciamo? E i Beatles, per certi versi, non sono stati ritenuti pericolosi? 

Abituata ai giudizi, li sento fioccare in questi giorni di lutto dopo la tragedia della discoteca, mentre credoche dovremmo solo consolare e pregare: le indagini spettano ad altro.

Io oggi ripenso però a quel giorno di novembre, dove è andato tutto bene, grazie a Dio, come a molti altri concerti. 

Quello che ascolti, non ti uccide. Ma può fare comodo pensarlo. 



domenica 9 dicembre 2018

La fiducia fa rifiorire


Come molti altri, periodicamente incorro nei ladri al cimitero. Non so quanti alberelli e fiori mi abbiano rubato, negli anni.

Difatti, non metto più nulla di fresco, mi sono arresa ai ladri come nei miei saccenti articoli chiedevo di non fare.

Due settimane fa, una sorpresa: dove ho il compito tramandato di mettere una piantina, nel dubbio che fosse secca ne portai un'altra. Risultato, il mio angelo ne ebbe tre, perché non solo era ancora intonso il fiore, ma qualcuno le aveva messo un ampio vaso bianco.

Mi viene in mente l'incursione nella fiducia, che avevo scritto qui https://varesenoi.it/fidiamoci-della-fiducia-porta-piu-lontano-e-se-va-male-ci-lascera-un-sorriso/

Non finisce qui.

La bronchite mi tiene lontano dal cimitero per troppi giorni  oggi arrivo qui con la sfiducia. Non ho potuto innaffiare le piantine, saranno state levate.

Quando vedo che una - probabilmente rinsecchita - manca, ma le altre due sono fresche di innaffiatura, arrossisco di gioia.

Qualche angelo è passato e si è preso cura di fiori e persona cara.

La fiducia rifiorisce, dove meno te l'aspetti, quando eri più scottata.

Ed è bello arrendersi.

sabato 8 dicembre 2018

Notte e oltre il luna park del Natale

Ho attraversato il luna park del Natale, luci e colori strillati mentre danzavano vorticosamente.

Poi sono entrata in una chiesa che avevo sfiorato e mai visitato: una piccola meraviglia nascosta, che si schiude con il dito sulle labbra. Dentro, si rinnovava un voto d'amore: garbato e intenso, mentre il prete rammentava un comandamento trascurato: rallegratevi. Scivolare quindi in un locale che sa di casa: mica ci conosciamo tutti, eppure in qualche modo siamo una famiglia. In questo angolo caldo e accogliente, non si sente il luna park del Natale, ma si accarezza il suo senso.

Notte e oltre il luna park del Natale 

venerdì 7 dicembre 2018

Notte e non solo quello che facciamo

Un piccolo desiderio, che da inespresso sto provando a balbettare. Sarebbe così normale e meraviglioso se non contasse solo quello che facciamo.

Se per qualcuno in più l'attenzione fosse catturata da ciò che siamo. Un essere che splende solo della vita, ombroso e irresistibile.Una creatura, alla quale non bisogna sempre chiedere qualcosa: un compito, un'incombenza, un gesto, uno sbuffo. Magari rivolgerle solo un sorriso, che lo meriti o no.

In questa rete di funzioni dichiarate, di utilità calcolate, non conta solo quello che facciamo, ma ciò che siamo, nella notte e nel giorno. Come respiriamo e ridiamo ancora: lì dentro c'è tutta la nostra libertà.

Notte e non solo quello che facciamo.

giovedì 6 dicembre 2018

Notte e buon viaggio "best mother in the world" (ciao Flora)

Ci sono mamme che conosci da sempre, anche se le loro vite, non le hai nemmeno sfiorate. Quando ero piccola e Kiss-fanatica, avevo studiato come da contratto ogni dettaglio sulla vita dei miei beniamini e delle loro famiglie.

Come di Flora, la mamma di Gene Simmons, che in queste ore è volata via, a 92 anni. Da giovane la immagino fragile e fiera. Fragile, nel campo di concentramento in cui l'aveva mandata la follia umana.

Vince la vita
vince l'amore

E poi la vedo fiorire, come il suo nome mi evoca, in Israele. Andarsene, con il suo bimbo, in un Paese di cui non conosce la lingua. E quando sente urlare un poliziotto all'ingresso in America, istintivamente mostra la pelle tatuata.

Ma Flora è forte e orgogliosa. Sa cucire, i bottoni, l'affetto, la vita. Oggi se ne va via e Gene Simmons la saluta nel modo più vero, senza addii o arrivederci, perché sappiamo tutti dove andiamo, speriamo tutti di sapere dove ci ritroveremo.

Bastano poche parole: the best mother in the world. La mamma migliore del mondo, quella che sa cucire ogni oltre ferita della vita e dell'umanità, per sorridere ancora.

Notte e buon viaggio, mamma migliore del mondo (ciao Flora).

https://www.facebook.com/PaulStanleyOfficial/photos/a.10150364074794967/10151021966704967/?type=3&theater

mercoledì 5 dicembre 2018

Vorrei un test a crocette

Mettiti pure a studiare tomi di filosofia o consulta tutti gli esperti delle cose della vita moderna, anche a colpi di tweet.

Poi, basta che incroci un ragazzino su un treno e lui sa cosa vorrebbe dalla vita, leggi semplicemente il giorno dopo.

- Vorrei che domani ci fosse un test a crocette.

Ma sì, quello in cui forse te la puoi pure cavare, una x lì e una là, vuoi che il calcolo delle probabilità ti sia sfacciatamente nemico? Oppure sì, ma chi se ne frega. Qualcuno ti fornisce un'idea e una giusta là dentro ci dev'essere: anche questo infonde sicurezza.

Sempre meglio di un foglio bianco, in cui sei tu a dover scrivere tutto.

Vorrei un test a crocette.

martedì 4 dicembre 2018

Notte e l'ubriaco nella strada vuota e luccicante

Sono comparse luminarie in luoghi anche insospettabili. Tuttavia non rendono le strade meno vuote, anzi ne mettono a nudo la fragilità.

Lo colgo, viaggiando nella notte e scivolando sull'asfalto umido come un volto ferito. E lo vedo, un volto ferito. E' un uomo palesemente ubriaco, che il gestore del locale allontana. Ha ragione, a non servirgli più da bere.

Eppure in quel momento io scorgo lo sguardo smarrito dell'uomo e il passo vacillante mi sembra qualcos'altro: quell'incertezza che tocca ciascuno, quando si trova non dovrebbe, su un marciapiede sgualcito, che una luminaria rende solo più spettrale. Un grido d'aiuto soffocato, che incespica nel deserto.

L'ubriaco nella strada vuota e luccicante, siamo noi.

Notte e l'ubriaco nella strada vuota e luccicante.

lunedì 3 dicembre 2018

Notte e senza perdere la sicurezza (restare umani)

La prima immagine che mi viene offerta del decreto sicurezza, è una famiglia giovane - padre, madre incinta e bimba di pochi mesi - allontanata dal centro che li ospitava. Saranno senz'altro i media di parte, si intende: difatti vedi che commenti velenosi sui loro siti. 

Ma intanto ho una seconda immagine, che mi perseguita oggi: quella di un ragazzo del Gambia morto carbonizzato in una baraccopoli in Calabria, ancora. Non la prima, purtroppo probabilmente non l'ultima volta.

Ecco, io sarò ottusa,  ma non capisco cosa ci sia di sicuro e giusto in un Paese civile nell'avere luoghi del genere dove gli immigrati vengono reclutati a raccogliere ora gli agrumi o altro, e costretti a vivere i quelle condizioni. In questo caso, andiamo avanti così.

Del Che amo molto la frase: bisogna essere duri senza perdere la tenerezza.

Mi perdonerà se la vivo così stasera: bisognerebbe restare umani, senza perdere la sicurezza. 

Notte e senza perdere la sicurezza (restare umani)

domenica 2 dicembre 2018

L'amicizia al tempo delle sigarette nei giornali

Le foto e le riflessioni di alcuni colleghi cari in occasione di un compleanno importante, sono una scintilla per i ricordi. Quelli che non si possono scrivere nelle cronache, non fanno rumore, ma nei cassetti sì.

Mi fa piacere aver percorso un piccolo pezzo di strada assieme alla Prealpina, che ora celebra i suoi 130 anni. Le faccio tanti, tantissimi auguri. 

Io ne ho solo quindici condivisi nella redazione dove sono cresciuta, dove ho imparato a fare i primi passi, i primi sbagli, i primi progressi. Anzi, dove sono entrata per la prima volta a diciotto anni, tutta fiera con altre compagne per portare una notizia bomba: il primo sciopero nella mia scuola.

Due anni dopo tornai da Gianni Fusetti, il mio primo caporedattore, e continuo a pensare alla fortuna di aver avuto lui, un signore del giornalismo, una guida come Mino Durand nelle vesti di direttore e altri colleghi preziosi. 

Questa sera tuttavia, chissà perché mi vengono in mente le sigarette di Antonio Porro. Antonio fu il mio capo per pochi anni, ma fondamentali per cercare di essere una cronista testarda e sincera. Cercare, perché non ci arrivi mai. Sentivo la pressione con lui, che sapeva tirar fuori qualsiasi notizia. Ma avvertivo anche che Antonio una soluzione, un'idea, le aveva sempre. Brusco quanto basta per poter trasmettere il suo affetto, arrivava nel pomeriggio carico di sigarette e pronto a trangugiare caffè doppi. Allora convivevano computer e macchine da scrivere, e lui usava queste ultime con un dito solo. La sera, rileggeva ogni riga in pagina con una lente di ingrandimento e non usciva un refuso. Restava lì fino a notte ed era un mistero (poi risolto, ma che terrò nel riserbo) su come giungesse lì e come ripartisse visto che non guidava.

Allora non c'erano cellulari; se la sera accadeva una notizia di nera a dieci chilometri, ma nella tua zona comunque, e avevi un'ora per chiudere il giornale, eri ragionevolmente spacciato a meno che non avessi lui, Antonio, che con naturalezza ti aiutava a scrivere trenta righe. 

C'erano due aspetti chiave nelle redazioni allora. Primo, si fumava tantissimo. Secondo, in qualche modo, tra mille differenze, c'era una strana forma di amicizia. Non poteva accadere che qualcuno avesse dei problemi e non venisse in qualche modo soccorso, pur di soppiatto.

Un giorno, nella nostra redazione trasferirono un collega, che aveva dovuto affrontare una lunga terapia per la sua malattia. Dopo una settimana, osò chiedere timidamente ad Antonio con il quale condivideva l'ufficio: scusa, potresti fumare un po' meno?

Antonio scosse il capo: non avrebbe fumato un po' meno, avrebbe semplicemente smesso di fumare.

Naturalmente non lo prendemmo sul serio, ma fu proprio ciò che accadde. 

Da tre pacchetti al giorno a zero. 

Qualche perfido raccontò che nella notte, passando fuori dalla redazione deserta, vedeva una lucina rossa nel buio, come di una sigaretta, sul balcone. Ma anche se fosse, ciò non toglie nulla al prodigio che fu il suo gesto.Oggi mi viene in mente questo episodio, e tanti altri, piccoli e veri. 

L'amicizia al tempo delle sigarette. E persone che non si possono dimenticare, con gli anni che scorrono  e le sembrano portare ancora più vicino.







Super heroes - canzone per la notte

Che poi cerchi talmente la verità, che ti ritrovi disposto a mentire. Quando lo spettacolo volge al termine, quando non sai più bene chi ti voglia aiutare o dannare, ti rendi conto di questo paradosso.

Un tempo, ti aspettavi i supereroi; ora sei consapevole che saranno i primi a sbranarti.

E mentre il Rocky Horror comincia a lacerare le tue certezze, te ne vedi balenare davanti una terribile.

In barba alla nostra arroganza, eccoci qui: ignoti insetti, da qualcuno chiamati esseri umani, che strisciano sul pianeta. Con la convinzione di esserci per sempre, eppure persi nel tempo nello spazio.

Super Heroes - Rocky Horror Picture Show - canzone per la notte

sabato 1 dicembre 2018

Libera come un'ombra


Un'ombra in posa, in un quadro  che sa di poter lasciare in qualsiasi momento, eppure vi resta, curiosa di vita. 

Chi darà ombra all'ombra. Chi le offrirà un angolo dove rifugiarsi.

Tanti danno la caccia all'ombra, in una giornata afosa. Ma forse anche l'ombra cerca un punto dove deve diventare invisibile per ritrovarsi. Sciogliersi al sole e poi ricomporsi, magari lontano, con la stessa precisione e senza sentirsi  prigioniera.

Libera come un'ombra