Sei sempre tu, l’unico che ha intercettato il mio dolore tempo fa lungo la strada semivuota. Sister, tutto bene, non ti vedevo più. Tu che vieni da un Paese lontano, che ogni giorno affronti viaggi più brevi e incerti.
Ma ora sei diverso. Sei immobile, appoggiato al palo senza indolenza. È il dolore che ti tiene lì, mentre dalla chiesa cerca di riversarsi con ordine il flusso degli amici di un uomo speciale.
Quell’uomo per tanti anni ha accolto anche te, nel suo negozio. Ti vedo che fai tappa tra le vetrine, chiedi, racconti, cerchi di vivere.
Come manifestare il tuo dolore, se non così: immobile.
Ma poi mi ricordo l’unica altra volta in cui ti vidi così. Immobile, appoggiato a una parete, persino le lacrime impietrite negli occhi: quando morì la moglie di quest’uomo, anni fa.
Tu che ti sposti sempre con una regolarità stupefacente, che abbracci un quartiere con le tue parole e il tuo sguardo, perché ne fai parte, anche se vieni da lontano. Soprattutto perché vieni da lontano.
Il tuo dolore immobile mi ha scavato dentro più di tutto. Ancora di più, quando una donna si accosta a te e ti raccomanda: stai attento.
Io non riesco più a guardarti e ti saluto alle tue spalle. Mentre mi allontano, mi accompagna la tua parola: sister. Tu non ti muovi, non ancora.
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