Soffro ancora di avverbite. D'altro canto oggi mi sono fissata a riflettere su quanta sfiducia linguistica esista nei nostri rapporti: è l'unico problema o la punta dell'iceberg?
Quante volte rispondo o mi sento rispondere: ma davvero? ma veramente? Quando lo dico io, vorrei mordermi le labbra subito. Anzi la lingua, per essere precisi. Perché è - anche - una questione di precisione.
Vado a prendere l'auto. Ma veramente? No, ho fatto finta di vedere se ti ricordavi che l'avevo venduta. Ma veramente? No, non l'ho venduta, ma pensavo di farlo. Ma veramente? No, di solito non penso, perché nuoce gravemente alla salute. Ma veramente? No, alcune ricerche hanno appurato che pensare facilita la vita.
Fermiamoci qui, zitta Arguta.
Il dubbio amletico è questo. Rispondiamo con questi segnali di sfiducia perché non crediamo o perché non abbiamo ascoltato?
Mi viene in mente un perfido stratagemma da me usato in Grecia quando ero giovane e furba (ah ah, risata di Arguta) e c'era un ragazzotto del posto che faceva strage di cuori. Io ero piccola e non rientravo nel suo target, però c'era qualcosa di me che lo affascinava: il fatto che io spesso gli ripetessi "I don't believe you". Questo perché capivo poco quando mi parlava in inglese, allora mi sembrava la cosa più carina da dirgli. Anche perché così ripeteva il suo concetto e potevo provare a comprenderlo.
Ma veramente? Questo è vero, verissimo, Arguta.
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