lunedì 22 giugno 2020

Più della libertà

Ho impiegato giorni ad accettare i sogni di libertà andati in frantumi. Poco amo più della libertà, per questo sono così fragile. Da sempre, l’ho ritenuta così fondamentale da pagare ogni prezzo  di fronte a chi provava a offuscarla, a chi la comprimeva o sporcava. 

Più forte è stata la debolezza, ancora una volta, e le stampelle me lo ricordano ogni giorno.  Un incidente banale mi ha fatto riassaporare il lockdown. Molti mi hanno chiesto cosa fosse successo, per gentilezza o per avere qualcosa di cui parlare, e si sazia così, ammesso che io risponda. Quella che mi ha rivolto una folla, con il suo tendersi  premurosa, mi ha fatto la domanda capace di commuovermi, sempre: posso fare qualcosa per te?


Ora, per la prima domanda, scrivo scrupolosamente la storia che il medico del pronto soccorso ha auspicato che io formulassi per un accadimento così inglorioso.

Devo fare una premessa. Il pronto soccorso, non ci andavo da qualche anno e pochi mesi fa sarei stata terrorizzata considerando la guerra che infuriava con il Covid. Adesso è stata solo l’ennesima lezione di umanità, sia con medici e infermieri, sia con i pazienti attorno a me. Dolori, inquietudini, solidarietà silenziosa e un fatto che mi ha dimostrato come il Covid sia davvero ora un nemico ma come altri, da affrontare senza panico.

- Signora, crei una storia per questo infortunio, qualcosa di più eroico.

Ho fatto un test con un amico e gli è piaciuto: ero sull’Everest, un’aquila si è avvicinata, le ho fatto sciò, ho perso l’equilibrio, sono caduta (naturalmente in piedi) e mi sono rotta il malleolo.

Questa è l’unica storia che riferirò a chi è interessato.

Perché a me non interessa, se non altro. O altri, coloro che hanno subito detto “come ti posso aiutare?” e già così la mia fragilità si assorbiva, coloro che hanno avuto un sorriso, che sono corsi (beati voi, scherzo) da me, che mi hanno offerto un passaggio o un sorriso, che si sono accorti che qualcosa non andava, che sono in situazioni più delicate ma non mi hanno fatto mancare il messaggio quotidiano.

Perché quando si è orgogliosi, se non superbì, è difficile chiedere aiuto, e un amico allora quasi non te ne lascia il tempo. Ultimo gesto commovente, la pomata svizzera portata da un angelo.

Questo periodo di lockdown ai miei occhi non ha lasciato una dose contagiosa di umanità. Ho visto persone in momenti durissimi pugnalarti il giorno dopo, solito andazzo di chiamate a cui non solo non si risponde ma neanche ci si cura di mandare un messaggio per giorni, ipocrisie irresistibili.

Poi, ti trovi nel tuo lockdown personale.

Questi momenti mi fanno capire che c’è qualcosa più importante della libertà. Forse, si chiama fragilità, perché apre la porta all’umanitá, che c’è e resiste con un adorabile sorriso.

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