Dopo anni mi è apparso sullo schermo televisivo un doppio incontro ravvicinato con "Sex and the city". Una sera si trattava di uno spezzone di film: ben presto mi è apparso assurdo e detestabile.
Uno o due giorni dopo, era invece il telefilm. La serie insomma, e mi sono fermata un attimo perché ho pensato: questi sì erano divertenti e di guizzante ironia, altro che il film, mi ricordo.
Un tubo. Nel giro di cinque minuti ero irrimediabilmente annoiata e me ne sono andata. Non trovavo più traccia di sorriso, anzi si insinuava in me un vago senso di pena. Non mi sono sottratta all'autocritica: ma come anni fa, eravamo qui tra amici a guardare, discutere e rintracciare gli amati posti di New York. Sto proprio diventando una vecchietta? Mi sto ammalando? Sono brontolona e basta?
Forse tutte e tre le cose insieme. Forse, era un altro periodo storico e di vita. Ripasso. Erano gli anni Novanta, il loro crepuscolo per la precisione, quando comparvero questi personaggi. Carrie e le altre ci meravigliavano, erano un mondo assolutamente nuovo. Era dall'alba degli anni Novanta che non seguivo una fiction americana, dai tempi irresistibili di Twin Peaks. Due universi opposti, ma confezionati con arte.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e forse abbiamo visto tanto orrore anche sul fronte dei costumi, che "Sex and the city" oggi mi pare vecchio e stantio. Mi suscita una sana compassione, davvero, questa corsa a se stesse, a legami, a non legami. Anche se salvo un aspetto, che forse è il vero protagonista: l'amicizia, quella sì. Forse più resistente di tante della realtà. Anzi, no, salvo qualcos'altro: New York, che in barba alla sua vastità ho trovato di volta in volta più umana.
Fine delle concessioni. Non sono pentita, ma pentissima. Vado a recuperare le cassette di "Twin Peaks".
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