Non esiste nulla di più irresistibile dei porti. Me lo ripeto, mentre mi allontano e li contemplo dal mare. Posso anche isolarmi al Castello di If, e scrutare da oltre le sbarre la giustizia frantumata. Posso camminare sulle orme di Dumas e Montecristo. E presto, come il Conte, devo uscire all'aria aperta, mentre il mare danza.
Marsiglia, sullo sfondo. Come mi piacciono i porti, che non conoscono mistificazioni. Nel cuore, Portree e i suoi voraci gabbiani. E altri minuscoli sparsi per il mondo.
Ma lei, Marsiglia, è enorme e battagliera. Tentacolare di giorno e di notte. La osservo mentre la puliscono continuamente e invano. Quell'odore di porto non evapora: è questo, per me, il vero profumo di Marsiglia.
Ho respirato di tutto, a Marsiglia, prima di tutto la realtà. Ho lottato febbrile con l'orologio e la zuppa di pesce, perché un cameriere ciarliero mi stava facendo perdere l'ultimo metrò. E difatti la dovetti percorrere a piedi, al buio, indossando un'espressione da guerriero per scoraggiare approcci che già di giorno avevamo dribblato in qualche modo.
Ho attraversato per sbaglio il quartiere islamico, per raggiungere la cattedrale, che era stata ficcata in mezzo a un'autostrada o simile arteria, e quel giorno era pure chiusa. Sguardi perplessi mi inseguivano, di ogni età.
Ho assistito a un tentativo di linciaggio, con vago stupore, non vergato da paura. Alla fermata del bus, un ragazzo aveva scippato una donna algerina, ma si era dovuto rifugiare su un pullman alla reazione dei passanti. Lo vedevo oltre i vetri implorare l'autista di chiamare la polizia e mi meravigliava che in quel fermento di folla in rivolta l'aria fosse immobile.
Ho trovato un mare sincero, che lambiva spiagge immacolate e poi si infilava una sigaretta tra le labbra e tornava al porto, con aria da furfante.
Dio mio, come amo i porti. Sicuri o no, sono una certezza.
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