Anche le capre parlano il dialetto. Ringrazio i britannici per la nuova rivelazione in campo animale e mi consolo del fatto che le caprette impegnate a divorare le mie piantine, procedano emettendo uguale intonazione.
Chi si piglia, si assomiglia: mi pare questo il concetto sul fronte caprino, visto si sono riscontrati accenti differenti in differenti gruppi, a seconda di come e dove si è allevati. Riporto il verdetto degli studiosi: «Nonostante il ridotto repertorio vocale, i richiami dei capretti fratellastri sono diventati più simili se allevati insieme nell'ambito dello stesso gruppo sociale».
Non so cosa ne pensino le capre - perché con quegli occhi furbetti, pensano eccome, non credete? - ma per un attimo vorrei avere la bacchetta magica e trasportare loro in qualche università o centro di ricerca, per esaminare ciò che facciamo noi ufficiali umani.
Mi illuderò, sarà sempre quel lampo birichino nei loro occhi a deviarmi o quella loro propensione per le stoffe di buon sapore, ma penso che del nostro accento o del nostro colore, o di come siamo vestiti, se ne fregherebbero. Cancello l'ultima opzione: certe stoffe che indossiamo, interessano alle capre, le sputerebbero al primo colpo.
Magari svolgerebbero sì una ricerca, ma per capire perché facciamo tante cavolate. Per niente buone, quelle: molto meglio i cavoli.
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