E' trascorso un anno da quando te ne sei andata, e la rabbia continua a scorrere. Oggi mi rivolgo a te con lo stesso affetto, e un'implorazione: perdonami e chiedi perdono per me.
E' trascorso un anno durante il quale ho perso un fratello, la mia seconda mamma (ora unita all'oceano) e altre persone preziose nella mia piccola vita. Ho sofferto molto, per ciascuno di loro, ma per nessuno ho avvertito questa profonda e pericolosa rabbia.
Pericolosa, perché so che mi allontana da molto, spero non da te. Ti ho conosciuta tardi, nell'anno in cui entrambe avevamo perso una persona fondamentale della nostra esistenza. Abbiamo condiviso nemmeno tre anni di amicizia, ma ogni nostro incontro, ogni parola, ogni tuo gesto d'affetto... sono tutti riposti nel mio cuore.
Eppure non posso accettare che tu te ne sia andata, a riposare con chi amavi, perché qui hai ancora una persona preziosissima, e altri che ti vogliono bene e ti cercano. Qui hai degli angeli da aiutare, nella loro missione quotidiana. La tua scomparsa è quella che ha fatto traballare con più potenza ciò che in cui credevo, la dolcezza di una Provvidenza che comunque sa sempre accompagnarci.
Oggi capisco meglio: sono arrabbiata perché ragiono dal nostro punto di vista, da chi è qui e senza di te. Dovrei accettare che della tua dolcezza aveva bisogno il cielo, e che tu avevi bisogno della sua. Che tu hai camminato in questi anni di immenso dolore, badando solo agli altri e tacendo, come potevi, la tua sofferenza. Come potevi.
Quel giorno, che arrivai per caso al cimitero, e invece tu eri lì con tuo marito... Mi vedesti e corresti incontro a me, buttandomi le braccia al collo. Basta. Io ti chiedo di perdonare la mia rabbia; il compito più importante, sono sicura che già lo stai portando avanti, perché incontro ogni giorno un esempio di coraggio incredibile.
Senza rabbia, senza questa ribellione all'ingiustizia conclamata, posso lasciar fluire solo l'affetto. E avere il coraggio di rivedere il tuo sorriso, mentre ti giri per un istante appena nel dvd di quel tuo viaggio. Il penultimo, quello che già apriva le porte della pace e non lo sapevamo.
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