Nei miei appunti, schizzi di pensieri spesso vergati di notte, entra questo fiume. E spero che vogliate perdonarmi se scorre impetuoso.
Sono giorni in cui il pensiero di mio padre è più forte che mai, e una sua foto mi apre una porta irrestistibile. Lui e mamma in un ristorante, a Casteggio, ritratti da me. Non prendete sotto gamba il suo sorriso: quel giorno ha fatto qualcosa di speciale per me. Una delle tante azioni, che noi figli tendiamo a sottovalutare.
Da ragazza l'ho fatto impazzire, ma non per gesti ribelli (a parte la fuga verso il concerto rock a 16 anni, in Svizzera). La mia cocciutaggine scorreva costante e silenziosa. Studiavo ancora, quando intrapresi il mio lavoro, e lui sospirava che non era un lavoro da donna. Ero ai primi passi, quando gli dissi che dovevo andare a una serata in carcere. Quel giorno si ribellò e mi disse:no. Era stata una settimana difficile. I miei servizi non erano mai in posti dorati. Avevo pure fatto un'inchiesta con il fotografo su una strada terrificante, e siccome non si fermava nessuno, aveva mandato avanti me ad attirare l'attenzione dei camionisti. "e se ti vede chi mi conosce, che figura faccio" sbottò papà. In carcere no. Strano ma vero, declinai.
Pochi mesi dopo, però, ero ugualmente lì. Di più, diventai amica di un detenuto che, tra l'altro, mi aveva contestato in un incontro, pur con garbo. Da lui ho imparato tanto, e non lo ringrazierò mai abbastanza. Quell'anno, morì un amico, un mio fratello, in circostanze particolarmente penose. Pochi mesi dopo, si tolse la vita la mamma di un mio amico. Ero schiacciata, anche se l'obbligo era non mostrarlo. Il mio amico in carcere mi scriveva lunghe lettere che plasmavano e davano un senso al mio dolore.
Il mio amico in carcere, doveva scontare un ergastolo. Quindi non vi sto a spiegare perché era là. Lo trasferirono e gli promisi che sarei andato a trovarlo. Lui studiava, si doveva laureare. Amava, tanto, i libri. Ricopiai la Rima del vecchio marinaio, perché avesse un libro senza copertina strappata come volevano le regole.
Un giorno dissi a mio padre: domani vado a trovare il mio amico in carcere. È lontano, ma troverò la strada. Papà non disse nulla all'inizio; poi uscirono poche parole: Ti accompagno io.
Ero sempre la stessa figlia testarda, era sempre lo stesso padre che doveva dire ai suoi amici: vado ad accompagnare mia figlia, che deve incontrare una persona in carcere.
Mi ricordo i minuti interminabili d'attesa, tra le famiglie provate. Il mio essere giornalista che diventava un ostacolo, spaventando le guardie, e io lì a spiegare che non c'entrava. L'ora lì che scorreva in modo strano, perché mi avevano tolto l'orologio.
Quando fui fuori, papà era in auto con mamma, ad aspettarmi. Ora offro io e vi porto in un ristorante, dissi. Figurarsi. Salimmo su una collina, accennai al colloquio e poi pranzammo come in un giorno qualsiasi.
Ma non lo era. O meglio era un giorno qualsiasi, perché mio padre era straordinario, ogni giorno.
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