Che strano: rivivo quel giorno, papà e mamma che mi portano a Milano, ma restano fuori a causa della mia agitazione e un po' anche della loro. Entra il mio caro amico Beppe, unico ammesso. Pochi frammenti, poi l'abbraccio ai miei e mentre brindiamo, ho già un sacco di cose da fare, mi assicuro.
Sì, quel giorno è importante, eppure quasi vola nella mia memoria, perché inciampo nella sera prima. Dovrei essere a casa a ripassare o a riposare, ma mi fermo fino a tardi nell'aula del municipio dove scorrono i risultati elettorali. Da una parte è febbre giornalistica, sì. Quello è un periodo in cui potrebbe cambiare tutto, con le avvisaglie e poi la bufera di Tangentopoli, oppure niente.
Ma contano di più le persone degli anni, delle stagioni, delle fragili previsioni. Nelle ore in cui mi laureo, Marco Sartori viene eletto deputato e i suoi occhi brillano di gioia, forse con una scintilla di incredulità. Io ho 23 anni, lui che è come un fratello il mese dopo ne compierà 29. Sembra tutto così strano e travolgente, un nuovo inizio per ciascuno di noi.
Oggi non riesco a non pensare che ho 48 anni, l'età in cui lui ci ha lasciato. Con il tempo che prima l'ha portato via, poi gli ha reso omaggi da galantuomo, lo so: vorrei far credere a me stessa che così procura meno dolore, ma un corno.
Risento la sua voce e un'altra quella sera, che pur direttamente non ho ascoltato. I cellulari sono ancora un miraggio e vengo richiesta in non so quale ufficio del Comune, perché c'è una telefonata dalla redazione, allora guidata dal mio maestro gentiluomo Gianni Fusetti. Mi avvisano che ha chiamato il direttore, Mino Durand, ed è furibondo con me.
Motivo dell'ira: "Ma Marilena dov'è?! In Comune per i risultati elettorali? Disgraziata, mandatela subito a casa che domani mattina presto si laurea!".
Sono cresciuta abbastanza da non lasciarmi afferrare dal magone, bensì dalla gratitudine. Persino dall'orgoglio.
Ho conosciuto persone meravigliose, alcune mi hanno voluto un mondo di bene. Ho vissuto tempi in cui si poteva stare umani. In cui ci si preoccupava degli altri, anche quando si rideva. In cui non c'erano cellulari per raggiungerti in ogni istante, ma si sapeva come farti arrivare il messaggio più importante.
E di quei tempi, sarà rimasto pure qualcosa, lo sento mentre chiudo la mia tesi nel suo cassetto.
Con Marco che ride e parte per Roma, deciso a fare seriamente. Con papà che sopporta che quella disgraziata di sua figlia sia fuori fino a notte fonda invece di ripassare o studiare per il momento per cui ha tanto sudato, il momento che forse lui aspetta più di lei. E con Durand che se non chiudo questo cassetto ora, per precauzione mi sgrida ancora.
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