domenica 28 gennaio 2018

Notte e non vivo in una cittadina

Ancora avvolta dall'energia dei bambini, che della Giöbia hanno capito tutto a differenza di molti adulti, ho voluto mordermi le labbra.

Ricordo, e la memoria oggi fa male, quando fu eletta un'importante carica dello Stato: ero fiera e felice. Oggi provo un disincanto generale. Perché conosco poche cose, e cerco di parlare ancor meno. Sono cresciuta così, dannatamente socratica: quando ho un'idea che ritengo certa, la metto in discussione.

Ma la mia Busto Arsizio, qualche certezza me la offre ancora.

Sa vivere le sue tradizioni. Sa trasmetterle, bene o in  modo impacciato. Sa dividersi. Sa anche unirsi, se la attaccano: anzi, speriamo non solo in questo caso. 

Ho avvertito un brivido soffocante, nella marea delle strumentalizzazioni via social network.

La prima, quando ho sentito bollare la mia città come nazifascista per un rogo (che da decenni e secoli brucia le paure, non le persone). La mia città, Busto, nazifascista? Quella premiata per l'impegno nella Resistenza. Quella in cui è partito il grido della Liberazione. Quella che grazie al deportato Angelo Castiglioni ha reso il Tempio civico regno di pace e di dialogo da affidare ai giovani.

La seconda. Io non vivo in una cittadina, come l'ho sentita definire (che poi a me le cittadine stanno pure simpatiche, i villaggi ancora di più). Questo mi ha persino fatto incavolare definitivamente.

Solo per dovere di cronaca: la mia è una città. E' l'ex Manchester d'Italia e concedo senza problemi di non aver capito cosa voglia fare da grande. Non è questione di numeri, più di 80mila abitanti, ma di impegno e responsabilità.

Io vivo in una città. E la amo, perché cresce, vacilla, si cerca, esita, in un futuro cresce ancora. Perché ha sempre accolto, non in maniera idilliaca, ma non si è mai tirata indietro. E chi preferisce bollarla, con le telecamere, da lontano fisicamente con il cuore, non mi interessa.

Notte e non vivo in una cittadina.

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