Ci sono inverni che non
passano mai, come i mari non sembrano voler cambiare. Ci sono onde che
accendono, come fiamme che alleviano il dolore.
La natura e l’uomo nelle
opere di Annibale Vanetti, incontrati sul finale della mostra
allo Spazio Arte Farioli: "Inverni del mare", la intitola, e io perdo una “v” per
un attimo, la plasmo, vedo tutto l’inferno in quell’acqua che ci fa nascere e
ci trascina a fondo, che ci imprigiona negli incubi e ci libera. So che
Annibale viaggia indietro nel tempo e dal mare torna al fiume Olona, da noi
tanto amato con malinconia, perché solo quelli prima di noi si sono tuffati,
liberi appunto.
L’acqua ci culla ancora,
anche se noi l’abbiamo imputridita. Cerco da bambina di ripercorrere la strada
di quest’artista che mi porta lontano, tanto da farmi guardare dentro me
stessa. Il mare di cui ho paura, come del limite. Il mare in cui sperano in
tanti disperati, che diventa la loro tomba. Il mare d'inverno che ascoltavo avidamente in Francia di notte, nell'ultimo viaggio con papà: un canto più profondo, come per ringraziare l'inverno di specchiarsi in quelle acque.
Eppure c’è sempre speranza,
in questi tratti, in questi colori e in questo incupirsi. Mi resta come
un’ombra un’immagine, legata al bitume che si unisce al canto degli altri
materiali usati. Quella degli uccelli imprigionati dalla nostra crudeltà, non da
quella del mare, mentre di quello strato nero cercano di liberarsi. E quando
esco da questa mostra, sogno che ci riusciranno.
Nessun commento:
Posta un commento