lunedì 2 gennaio 2012

Arturo e il ritorno dei D-book

Mi accingo a leggere un D-book, acquistato prima di Natale. Mi attendono due testi, e per ora non ne svelerò il titolo.

Basta la dichiarazione di intenti. I D-book sono quelli del Dovere, insomma i libri che a scuola ti hanno infilato caparbiamente tra i must e quindi tu li hai evitati come la peste. A volte, dovevi cedere, tra mille sospiri. Ricordo un'unica reazione gioiosa al liceo: quando spulciammo, tra gli interminabili titoli proposti, L'amante di Lady Chatterley. Credo che la prof non fosse poi così sorpresa, quando alla prima lezione di inglese post vacanze ci presentammo tutti fieri di questa lettura. Che oggi probabilmente è da educande.

Per il resto, morte ai D-book, tranne una manciata d'obbligo per non soccombere a fine anno. Non è che ora affiorino di botto, sintomi preoccupanti ce n'erano stati già in passato. Posso affrontare serenamente il mio outing, visto che il mio ex prof è su Facebook oggi: non gli mentirò. Lui era un fan de "L'isola d'Arturo", a me metteva l'orticaria solo il titolo. L'ho preso, perché sono obbediente, ma non l'ho lasciato entrare nella mia caparbia esistenza. All'inizio.

Pochissimi anni dopo (ovvero a distanza di sicurezza dalla scuola), Elsa Morante diventò la mia eroina incontrastata: avevo letto quasi tutti i suoi libri. Ma fin qui, niente di male. E' proprio l'Isola che mi ha agguantata, con la stessa magia che anima Procida. Tant'è che io sono una devota della svizzera-napoletana Ischia, ma quando ci sono andata, ho sempre dovuto prevedere una tappa a Procida. Tra i pescatori, i cestini calati dai balconi per dare chiavi e quant'altro e poi la chiesa che domina tutto e tutti, disseminata di bigliettini con gli anatemi di un prete contro i ladri.

La perversione è cresciuta al punto che mi piace mettermi al cospetto delle rocce, tra "angeli e angelesse" e vedo il misterioso Wilhelm, bello e dannato, con il quale forse mi sento solidale per ostentare una pelle bianca in un mondo che inneggia all'omogeneità e cancella le mille sfumature.

Lo vedo "solo, mezzo steso su un lembo di terreno fiorito d'erbacce", gli occhi fissi a una finestrella del penitenziario. Lui così bello e stracciacuori, piegato da un amore vergognoso e impossibile, anzi calpestato con l'epiteto di Parodia. Lui che prova a spezzare l'indifferenza, con il suo canto, "con una testardaggine infantile e cupa". E come Arturo, chiuse quelle pagine, è difficile lasciare Procida, ma devo.

Mm, che paura aprire il nuovo D-book.

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