Da Dundee mi arriva l'input di riaprire il diario del mio Comandante. Sono i giorni più cruciali per restare al suo fianco. E dei suoi uomini. Il 17 gennaio 1912 ogni prospettiva cambia, al Polo Sud.
Robert Falcon Scott osserva quel punto così ambito, per cui hanno lottato e sofferto. Yes, but under very differenti circumstances from those expected. Dal giorno prima negli occhi c'è il bagliore, più che della neve, dei colori della bandiera piantata lì, come una beffa: norvegese.
La gara - oltretutto non voluta - è persa. Amundsen è passato prima e ha anche lasciato un messaggio. All the day dreams must go, scriveva Scott il giorno prima. E non è arduo prevedere il futuro: it will be a wearisome return.
Non è stanchezza esclusivamente fisica. E' che il ritorno sarà così differente, con un fardello in più: quello della sconfitta agli occhi del mondo. Eppure la spedizione in Antartide non doveva essere una competizione con un'altra squadra, ma con se stessi. E soprattutto un cammino per la scienza e la gioia della scoperta. Una vittoria, sempre e comunque. Così è stato.
Da oggi comincia ufficialmente il ritorno. Estenuante. I wonder if we can do it, è la confessione sussurrata dal capitano Scott. Una preghiera, un presagio.
Ogni volta che ritorno a queste pagine, ogni volta che sfoglio le immagini, ogni volta che rimetto piede a Dundee al museo della Discovery... torno in cammino con il mio capitano e con i suoi uomini. Ho avuto la fortuna e la gioia di incontrare i loro discendenti, 10 anni fa, in Scozia.
Tutti insieme, stiamo camminando ancora. Grazie a Scott, Oates, Evans, Wilson e Bowers. Dall'Antartide, che mai lasciarono, hanno tracciato il percorso che ogni uomo può percorrere, anche in condizioni disperate: quello del coraggio e della lealtà.
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