domenica 30 settembre 2012

L'umiliazione della scaletta

Devo arrampicarmi su un cantiere. Zio canarino, pensavo di aver superato tutto dai tempi in cui un parroco, incurante delle mie vertigini, mi impose di salire sul campanile. Altissimo. Dalle scale esterne dei muratori.

Ce l'ho fatta. Adesso son quattro passi, che sarà mai. Solo che sono un po' imbranata per vari motivi. E soprattutto ho le lenti progressive, che mi fanno vedere traballante il pavimento. Vietato guardare sotto, insomma.

Tra i visitatori c'è il mio caro amico di 86 anni e per un istinto di autolesionismo sto per invitarlo a fare attenzione. Ma lui si è già arrampicato fino all'ultimo basel. Ecco, ha superato anche il gradino finale e saltella in giro con eleganza. Io sto ancora arrancando, ma credo che mi rifarò in qualche modo.

Solo che quando c'è da scendere, senza appoggi, è anche peggio su quella dannata scala a pioli. Eppure lui si è avvicinato e zum, è già al livello inferiore e non si tratta nemmeno di un video game. Io scendo la scaletta, tra il teso e l'umiliato, e lo sento pure dire: attenta a non cadere. Me lo raccomanda lui, sì.

Eh no. Mi giro e dico al mio amico: scendo quando ti togli tu. Perché se ti travolgo, che ferita infliggo alla mia città: tu sei un monumento nazionale.

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