In questi giorni, nel mio bagaglio lascio poche, irrinunciabili cose. Una è la
filosofia, che non riesco a intrappolare come disciplina: l'ho sempre vissuta come una forma di amore, quindi di ricerca.
Scelta con ostinazione, si è beccata anche tanti rifiuti da me, specialmente quando c'erano corsi monografici di filosofi che reputavo distanti. Stima, ma niente di più. Quanti mi hanno ripreso, lungo la via, Boezio diventato addirittura un amico imprescindibile.
Una devozione che ha sempre accompagnato i miei studi e oltre, è quella a Paul Feyerabend. Forse è iniziato con la mia deformazione personale: era il lato B di un corso, storicamente le mie canzoni preferite.
Ricordo il professor Reale quando ci ammantava di Kuhn, prima dovevamo rigorosamente conoscere Popper. Paul sullo sfondo, leggo un libro, un altro...
Contro il metodo. Il profumo dell'anarchia. C'erano tutti gli elementi per affascinarmi.
Eppure era qualcosa di più, offerto con la potenza di una carezza in Dialogo sul metodo.
C'era l'amore. La parola che sfugge così spesso a chi studia e cerca una verità, anche se dovrebbe guidarlo. C'era la voglia di conoscere, non per se stessi.
Io chiudo gli occhi e vedo quegli anni in cui ero fissata sulla filosofia della scienza, volevo farvi pure la tesi, ma la realtà l'ha portata via.
Mi è rimasto dentro quell'amore che rifiuta un metodo per cercare qualcosa oltre. E che oggi mi convince che la realtà, la possiamo cambiare. Anche con un bagaglio leggero.