lunedì 4 giugno 2012

Insinna e il capobranco


L’insonnia da terremoto alimenta il bisogno di leggere. Anche per questo ringrazio la mano amica che mi ha offerto il libro di Flavio Insinna, “Neanche con un morso all’orecchio”.

Conosco poco, questo attore. Guardo pochissimo la tv, i quiz li detesto a parte quando arriva zio Gerry (e a patto che non faccia cantare ragazzini con ego da adulti). Avevo visto brandelli di fiction e lì mi era parso simpatico.

Ma questa è un’altra storia. Questa è La storia. Perdere un padre, come si può raccontarlo? Gramellini mi aveva condotto in percorso di dolore che acquista se non un senso, un percorso appunto. Qui è un uomo che si confronta con la perdita di “papone”. Con il vuoto che si respira improvvisamente, anche se tuo padre era una persona tranquilla, ma “la casa sembra vuota come se mancassero all’appello cento bambini urlanti che suonano la chitarra elettrica e la batteria”.

L’uomo di Sparta, il comunismo di famiglia, l’insegnarti – con l’esempio – che non è che ti devi comprare tutto ogni giorno perché ti va, ma che c’è un’autoregolamentazione che fa bene e ti fa crescere. Roba che a tre quarti di questo mondo non riesci a spiegarglielo nemmeno con la  lavagna luminosa.

Il capobranco. Quando se ne va, c’è un branco che si aggira spaesato. Qualcuno dovrà pur assumerne il ruolo e andare avanti, perché questa è la natura. Ma mi sovviene la canzone cara a me (che piacerebbe anche al mio papà, a tanti papà perché si intitola “Silver spoon” e grida “Non sono nato con la camicia”), che ricorda: quando muoriamo, nessuno prende il nostro posto. 

1 commento:

  1. ..è lei si è lei la sua penna il suo stile unico si chiama Marilena

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