Anche Indro Montanelli se ne andò un giorno d'estate, e quest'anno più che mai ripenso all'incontro più magico con lui.
Era ricoverato in un ospedale per un intervento all'occhio e il capo spedì me e il fotografo per un articolo. Indelicato o meno, possiamo rifletterci un altro giorno. Ero una ragazzina che combatteva i dubbi con l'ardire. Andò male, malissimo. Appena arrivati, i medici si infuriarono e fummo sbattuti fuori senza esitazioni. Ma magari lui vuole parlare, azzardammo. Macché, neanche da lontano ce lo fecero vedere.
Nell'atrio degli ascensori sospiravamo, il fotografo e io. Per il cazziatone che ci aspettava in redazione. E poi avremmo voluto incontrarlo. Era un piccolo intervento, altrimenti non avremmo rotto.
Non individuando un piano B, stavamo per partire quando la porta si aprì e un signore ci disse: lui vi vuole vedere.
Non capivamo. Flash per renderci conto che Indro Montanelli aveva captato il movimento. Aveva chiesto cosa fosse accaduto e ai fieri medici replicò: fateli entrare, stanno lavorando.
Io non mi ricordo granché di quei minuti condivisi, se non ripasso l'articolo. Ero troppo emozionata. Unico neo: in quell'articolo manca la foto. Non la volle, a causa dell'occhio bendato.
Così il fotografo si beccò il cazziatone. Ma anche lui - che anni prima aveva lavorato con Montanelli - era felice. Perché con quel gesto ci aveva insegnato qualcosa, ancora una volta.
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