Come non sopporto che parlino della mia casa, senza averla vista o avendola sbirciata 20 anni fa. Così mi spiace, terribilmente, quando sento parlare del mio tormentato Paese con supponenza, quell'arroganza del non sapere, o peggio del non vivere, che sembra essere diventata la nostra maledizione.
Sono vittima della malattia di amare una terra senza viverla e quindi - egocentrica al massimo - condono chi sogna senza calarsi in una nazione, vicina o lontana.
Si può amare sbagliando, illudendosi. Ma perché criticare, bollare, parlare con disprezzo di un Paese che non si vive o non si vive più?
Perché accusarci di razzismo, o di qualunquismo, o di tendenza a essere gregge, quando si può o si deve stare lontano da noi, e non si respira la nostra realtà? E chi è tanto lesto nel farci a pezzi, è convinto di vivere nel posto migliore del mondo?
siamo tutti razzisti, qualunquisti, pecorelle, in ogni angolo del pianeta. Se lo vogliamo essere, se non vogliamo ascoltare, tanto sappiamo cosa sia il meglio.
ps un plauso ai giornalisti britannici (guarda come sono poco scozzese oggi) che hanno trascorso un anno in Grecia per parlarne. E hanno scoperto, tra le varie cose, che non li mangiava nessuno.
Nessun commento:
Posta un commento